Dubbi e perplessità di chef e ristoratori al tempo del coronavirus
La tavola è sinonimo di convivialità, condivisione e allegria, è il luogo dove, si abbattono barriere, si annullano formalità, si stringono accordi e nascono amori.
Ma al tempo del coronavirus e del distanziamento interpersonale sarà ancora possibile?
Molti chef e ristoratori sono infatti più propensi a chiudere le loro attività, ad abbassare le saracinesche, ad aspettare tempi migliori che riaprire e in condizioni disagevoli in questo momento.
Il delivery, permesso dalla normativa, non consente l’arrivo a casa dei piatti nello stesso modo in cui vengono serviti al ristorante sia dal punto di vista della cottura, sia da quello estetico.
Con tutte le borse termiche, i tempi di consegna ridotti e le precauzioni adottate, un primo piatto, un secondo o una pizza non arriverà mai con lo stesso grado di croccantezza, temperatura e integrità di una pietanza appena uscita dalla cucina e impiattata in quel momento.
Bisogna poi affidarsi a fattorini coscienziosi che rispettino norme di pulizia ed adottino tutti i dispositivi di protezione e le precauzioni necessarie perché ne va di mezzo il buon nome dell’esercizio commerciale e del locale.
Anche l’asporto non è semplice da gestire, deve entrare il cliente, uno per volta, dotato di mascherina e guanti, aspettare il proprio turno dopo aver prenotato.
Il ristoratore da parte sua deve aver igienizzato il locale, e i costi sono notevoli ed incidono non poco sull’esiguo budget, deve mettere i dispenser di disinfettante all’ingresso ed adottare una serie di norme.
A sentire la categoria però non è ancora chiara la modalità con cui bisognerà igienizzare i locali, cosa adoperare così da non procurare allergie e da non creare più danni che giovamento. I forni nelle vicinanze della porta potrebbero costituire un problema perchè entra l’avventore con scarpe sporche e questo potrebbe vanificare tutta la pulizia effettuata.
C’è poi il problema costi. Per pochi cappuccini, cornetti, primi piatti o pizze che siano, non si coprono le spese a cui si devono aggiungere dispositivi di protezione individuale, detersivi, benzina, fattorini per la consergna, contenitori e tutto il necessario per effettuare il servizio.
Anche la Federazione Italiana Cuochi ha espresso tutti i suoi dubbi e perplessità; i suoi aderenti si stanno incontrando sulle varie piattaforme digitali per proporre soluzioni ed avanzare possibili scenari.
Molti infatti pensano di cessare l’attività perché sanno di non poter garantire gli stessi standard di qualità dopo essersi fatti un nome, aver conquistato stelle o essere stati annoverati in prestigiose guide. Rsichierebbero quindi di vanificare impegni e sacrifici di anni e preferiscono quindi chiudere che non aprire a certe condizioni che presuppongono anche pagamento di utenze e personale.
Come si fa poi a pensare di fare una cena romantica divisi dal plexiglass? Ci si reca al ristorante non solo per mangiare prelibatezze, ma anche per godere della location ed essere coccolati e consigliati dal personale di sala.
Le piccole trattorie, i ristoranti stellati che dispongono di locali di non ampie metrature dovrebbero quindi dimezzare i coperti, per garantire il distanziamento, ma avendo le stesse spese da sostenere, anzi di più.
C’è poi anche da considerare che quando si riaprirà il clima di tensione e la disponibilità economica dimiunuta o azzerata di molte famiglie faranno il resto, facendo crollare le prenotazioni. Dietro ogni locale, ristorante o pizzeria vi è un indotto non indifferente oltre al personale come il commercialista, il grafico, ufficio marketing, i fornitori, più coloro i quali lavorano solo il fine settimana quindi i numeri del’indotto sono veramente importanti.
E a conti fatti molti preferiscono, in assenza di aiuti concerti da parte dello Stato dare direttamente appuntamento a fine emergenza quando potranno essere ripristinate condizioni quasi normali.
Come non condividere le scelte di molti…