Candeggina per sanificare i centri abitati. Palliativo o danno ambientale
Nonostante gli appelli di esperti e delle agenzie regionali per la protezione ambientale, nonostante le pubblicazioni scientifiche evidenzino che l’uso di prodotti disinfettanti su larga scala provochi un sicuro inquinamento e danno ambientale e un non dimostrato vantaggio per la salute pubblica, ci si ostina in irrorazioni “a tappeto” di intere città realizzando una “apparente” azione positiva per la collettività.
Questa pratica rischia di essere solo un costoso specchietto per le allodole che serve a tranquillizzare una popolazione che, in linea generale, ignora qualunque conoscenza scientifica in particolare nel settore biologico e chimico. Tanto è vero che nei comuni italiani lo spargimento all’esterno di ipoclorito di sodio (candeggina) viene indifferentemente indicato con i termini “Igienizzazione”, “Lavaggio”, “Detersione”, “Pulizia”, “Disinfezione”, “Disinfestazione”, “Sanificazione”, non rendendosi conto che le parole in questione si riferiscono a trattamenti molto diversi, e invece vengono erroneamente utilizzate come sinonimi.
Solo qualche amministratore ragiona correttamente e non cade nella trappola psicologica della “sanificazione a tappeto”. Nella Regione Piemonte, ad esempio, l’assessore all’Ambiente Matteo Marnati e il direttore dell’Arpa regionale Angelo Robotto, invitano i sindaci dei comuni piemontesi a “non usare ipoclorito di sodio, componente della candeggina, per pulire le strade”. Un altro esempio è rappresentato dal Comune di Jesi (13 marzo 2020) il cui vicesindaco Luca Butini, che è medico immunologo all’Ospedale di Torrette di Ancona, ha affermato che “disinfettare o sanificare le strade non ha alcuna dimostrata efficacia quale misura di prevenzione contro il Coronavirus e viceversa, è assolutamente certo che spruzzare una soluzione di ipoclorito di sodio lungo strade e parchi ha un effetto inquinante ed è irritante per le prime vie aeree di uomini ed animali”.
Ma, nonostante questi esempi di competenza e responsabilità, dilaga l’epidemia da “irrorazioni a tappeto con ipoclorito di sodio”.
Anche il governo dà seguito alla esigenza psicologica di vedere le città “disinfettate con candeggina” e, dopo le linee di indirizzo ministeriali del 22/2/2020 (prot. 5443 – DGGPRE-DGPRE-P) che forniscono indicazioni riguardanti le superfici e gli ambienti confinati, e il Dpcm dell’8 marzo 2020 relativo alla sanificazione dei mezzi di trasporto pubblico, concede la facoltà alle Amministrazioni Comunali di attivare le procedure di sanificazione degli ambienti esterni cittadini, anche se si raccomanda di evitare di utilizzare prodotti chimici diversi dai comuni detergenti, o soluzioni acquose a concentrazioni superiori a quelle prescritte (0,1%) di ipoclorito di sodio, al fine di evitare possibili effetti indesiderati sulla popolazione esposta, a fronte della mancata evidenza di efficacia di tali azioni rispetto alla diffusione del virus in linea con quanto dichiarato da Istituto Superiore Sanità (ISS) e Istituto Superiore Protezione Ricerca Ambientale (ISPRA): non c’è evidenza scientifica sull’utilità della sanificazione delle strade; l’ipoclorito di sodio può nuocere alle falde acquifere, ai corsi d’acqua, all’acqua potabile, alla salute dei cittadini e animali. Al riguardo occorre anche tener presente che un documento elaborato negli Stati Uniti dall’EPA (Enviromental Protection Agency) prescrive per le strade una concentrazione di ipoclorito di sodio dello 0,025%. Alcuni esperti e virologi non bocciano queste specifiche attività – come Fabrizio Pregliasco dell’Università degli Studi di Milano – ma le classificano come complementari rispetto ad altre applicate per il contenimento del virus. Il rischio più grande è quello legato agli oggetti più vicini alle persone, quelli che siamo soliti toccare con mano (quindi non l’asfalto).
Non ci si rende conto, oltretutto, che la procedura di igienizzazione prevede assolutamente due fasi: per prima cosa occorre effettuare un’azione meccanica di lavaggio delle superfici con sapone biodegradabile e poi successivamente bisogna spargere un biocida. Nell’àmbito dei biocidi, i virucidi sono attivi verso i virus e la loro efficacia deve essere comprovata secondo le normative UNI EN di riferimento (in dettaglio: UNI EN 14476:2015 per i virucidi) e le attività biocide devono essere certificate per dosi d’impiego e tempi di contatto.
L’ipoclorito di sodio è stato dichiarato biocida dal 1° gennaio 2019. In Europa l’immissione nel mercato di prodotti biocidi è normata dal Regolamento sui Biocidi (noto con la sigla BPR, regolamento UE 528/2012) che stabilisce che i biocidi per essere immessi sul mercato devono essere autorizzati. Nell’iter di approvazione viene coinvolta anche l’ECHA (Agenzia Europea delle Sostanze Chimiche). A dimostrare la prudenza con la quale ci si muove in questo settore occorre tenere presente che il biocida viene approvato per un periodo non superiore a 10 anni, allo scadere dei quali l’approvazione verrà nuovamente valutata e, eventualmente, rinnovata. I produttori del biocida approvato vengono inseriti, come da articolo 95 del Regolamento, in una Lista ufficiale pubblica chiamata Lista 95.
Le aziende che vogliono commercializzare il biocida (per usi consentiti) dovranno acquistare il principio attivo da uno dei fornitori presenti in apposita lista. Il 15 luglio 2017 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell’UE, il Regolamento 2017/1273 che approva il cloro attivo rilasciato dall’ipoclorito di sodio ai fini dell’uso nei biocidi per Igiene umana, Disinfettanti e alghicidi non destinati all’applicazione diretta sull’uomo o animali, Igiene veterinaria, Settore dell’alimentazione umana e animale, Acqua potabile.
Anche il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indicano che “la pulizia con acqua e i normali detergenti e l’utilizzo di prodotti disinfettanti/igienizzanti comuni sono sufficienti per la decontaminazione delle superfici anche se non sono, ad oggi, disponibili prove specifiche della loro efficacia sul Coronavirus e comunque, in merito alla disinfezione stradale urbana su larga scala, si conferma l’opportunità di evitare la produzione di aerosol”. Anche il China’s Center for Disease Control and Prevention (CCDC), ha avvertito che “le superfici esterne, come strade, piazze, prati, non devono essere ripetutamente cosparse con disinfettanti poiché ciò potrebbe comportare inquinamento ambientale”. L’ipoclorito di sodio, in presenza di materiali organici presenti sul pavimento stradale potrebbe dare origine a formazione di sottoprodotti pericolosi quali clorammine e trialometani e altre sostanze cancerogene volatili; non è inoltre possibile escludere la formazione di sottoprodotti pericolosi non volatili. Altra ipotesi da tenere in conto è la possibilità di generare fenomeni di resistenza in seguito ad un uso diffuso e frequente di disinfettanti, per analogia con quanto è realmente già accaduto nel rapporto pesticidi/insetti nocivi e antibiotici/batteri.
Considerata l’attuale pandemia e la necessità di disporre di prodotti disinfettanti efficaci e sicuri sul mercato, ECHA (Agenzia europea per le sostanze chimiche) ha pubblicato in data 7 aprile 2020 un documento che raccomanda le caratteristiche che le sostanze attive, tra le quali “cloro attivo rilasciato da ipoclorito di sodio”, devono possedere, in deroga all’equivalenza tecnica (Art. 19 (1)(c)). Lo scopo dell’equivalenza tecnica è di stabilire la similarità, in termini di composizione chimica e profilo di pericolosità, di sostanze prodotte sia da una fonte diversa dalla fonte di riferimento, sia dalla stessa fonte di riferimento ma in seguito a una modifica del processo di fabbricazione. Questo significa che i fornitori di tali sostanze attive potrebbero approvvigionarsi o sintetizzare tali sostanze senza che sia soddisfatto l’obbligo di verificare l’equivalenza tecnica, a patto che il grado di purezza e il profilo di impurezze stabiliti nella pubblicazione di ECHA siano soddisfatti.
Il Consiglio SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) riunito il 18 marzo 2020 ha approvato un documento con indicazioni tecniche relativamente agli aspetti ambientali della pulizia degli ambienti esterni e dell’utilizzo di disinfettanti nel quadro dell’emergenza Covid-19.
In particolare: a) le superfici esterne – quali strade e piazze – non devono essere ripetutamente cosparse con disinfettanti poiché ciò potrebbe comportare inquinamento ambientale, b) nel caso in cui le autorità locali ritengano comunque necessario, per finalità di tutela della salute pubblica, l’utilizzo di ipoclorito di sodio nelle pratiche di pulizia delle superfici stradali e pavimentazione urbana, tale utilizzo, alle condizioni indicate, dovrebbe intendersi esclusivamente come integrativo e non sostitutivo delle modalità convenzionali di pulizia stradale e limitato a interventi straordinari, c) per tutte le miscele utilizzate per la cosiddetta sanificazione degli ambienti urbani tipo superfici stradali, pavimentazioni e altro, devono essere preventivamente individuate e stabilite le loro caratteristiche ai fini della classificazione ai sensi della normativa sulla classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze chimiche e delle loro miscele (Regolamento (CE) n. 1272/2008 e s.m.i.), in relazione, quindi, alle caratteristiche di pericolosità per l’ambiente e le persone compresi i lavoratori che le utilizzano. Si afferma anche che la sanificazione delle strade con soluzioni di ipoclorito di sodio allo 0.1% deve essere effettuata preferendo le macchine spazzatrici e, solo se non possibile, con l’utilizzo di dispositivi manuali a getto d’acqua a pressione ridotta, in modo da evitare la formazione di areosol dannosi per l’uomo e l’ambiente.
Tutto quanto esposto finora, pur in un quadro normativo evidentemente emergenziale e, per molti versi, contraddittorio, poggia comunque su una pratica basata su alcuni punti fermi:
1) usare una materia prima (ipoclorito di sodio) certificata,
2) realizzare una soluzione acquosa avente concentrazione non superiore allo 0,1%,
3) non nebulizzare,
4) utilizzare mezzi idonei,
5) utilizzare personale formato e preparato, 6) intervenire con idonee condizioni meteorologiche (in particolare assenza di vento).
Ma se il tutto viene realizzato in modo estemporaneo, col sistema fai da te, basandosi sulla pur generosa disponibilità di agricoltori che operano normalmente in ambiti e con prodotti totalmente diversi, cosa succede? L’attività in questione, regolamentata da uno specifico codice (ATECO), è disciplinata dalla rigida normativa di settore (D.M. n. 274/1997 e Legge n. 82/1994), la quale individua gli specifici requisiti che devono possedere le imprese specializzate per l’esecuzione degli interventi. Gli interventi eseguiti da agricoltori che non hanno necessarie competenze tecniche e professionali ed utilizzano mezzi ed attrezzature non idonee alla disinfezione in ambiti urbani, possono essere dannose o, nel migliore dei casi, inutili.
L’utilizzo delle macchine irroratrici degli agricoltori, per le operazioni di sanificazione urbana, non è quindi una pratica eticamente e legalmente corretta. Molte di queste macchine irroratrici non sono omologate per la circolazione su strada pubblica o addirittura sono prive del controllo funzionale obbligatorio, previsto dal d. lgs. n. 150 del 14/08/2012, a cui bisognava adeguarsi entro il 26/11/2016.
Il Pan (Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile degli agrofarmaci) aveva posto, infatti, la data del 26 novembre 2016 come termine ultimo perché tutte le macchine per l’irrorazione di prodotti fitosanitari fossero sottoposte a controllo funzionale. Fino al 31 dicembre 2020 l’intervallo tra i controlli non deve superare i cinque anni e per le attrezzature controllate successivamente a tale data gli anni scendono a tre. Occorre tenere presente che viene rilasciato un attestato di funzionalità e un bollino identificativo del superamento del controllo da applicare all’irroratrice. Sono però ancora molte le macchine non certificate e ciò costituisce un azzardo visto che utilizzare una attrezzatura non controllata comporta una serie di rischi per l’agricoltore e l’ambiente. Questo è ancora più vero nel caso di una mancata regolazione strumentale (o taratura) che consente di regolare la singola macchina irroratrice alle caratteristiche della coltivazione.
E’ evidente che una cosa è utilizzare la macchina in un vigneto a tendone, altra cosa è usarlo in un meleto. Ma come va usata in una strada larga 3 m o 10 m con auto parcheggiate e caseggiati ai lati? Particolarmente grave è il fenomeno della deriva, costituita dal prodotto che non colpisce il bersaglio, ma finisce in altre zone o viene trasportato dal vento. E in ambiente urbano qual è il bersaglio? Determinante è anche il tipo di ugello più performante la cui scelta è ben determinata in ambito agricolo, ma non in ambito urbano.
A seconda della tipologia di ugelli montati, della pressione di esercizio, della velocità di avanzamento della macchina e della tipologia di impianto viene poi suggerito all’agricoltore il volume corretto di acqua da utilizzare e la velocità ottimale della ventola. Tutto questo, in ambiente urbano, non è ovviamente codificato. Comunque il sistema di aspersione da utilizzare dovrebbe essere quello della nebulizzazione a bassa pressione, che garantisce la somministrazione della soluzione in prossimità del manto stradale, evitando la formazione di aerosol e la dispersione nell’ambiente urbano per effetto “deriva” e “ruscellamento”. Tutto ciò viene realizzato?
Giunge notizia che vi sono già, presso le Procure, denunce a carico di Sindaci e di Agricoltori che, rispettivamente, hanno autorizzato e partecipato alle operazioni di sanificazione urbana. Diversi cittadini hanno filmato le operazioni di sanificazioni, ed in particolare le modalità di distribuzione. Alcune Procure hanno aperto fascicoli, ed i reati contestati sono: disastro ambientale, getto pericoloso di cose, oltre a delitti colposi contro la salute pubblica. Anche l’Associazione Nazionale delle Imprese di Disinfestazione (A.N.I.D.), con un comunicato del 26 marzo 2020, ha diffidato i Sindaci a utilizzare le macchine irroratrici degli agricoltori per le operazioni di sanificazione urbana, ma a rivolgersi ad attività di disinfestazione, specifico codice (ATECO), disciplinate dalla normativa di settore (D.M. n. 274/1997 e Legge n. 82/1994), che individua gli specifici requisiti che devono possedere le imprese specializzate per l’esecuzione degli interventi.
I serbatoi delle irroratrici agricole vengono, nel migliore dei casi, solo “sciacquati” per evitare che con l’ipoclorito si mescolino residui di pesticidi usati in agricoltura. La norma ISO 22368 descrive le metodologie che devono essere seguite per valutare l’efficienza dei sistemi di lavaggio rispettivamente per quanto riguarda: a) la pulizia interna completa dell’irroratrice (serbatoio + circuito idraulico, ISO 22368-1); b) la pulizia esterna dell’irroratrice (ISO 22368-2); c) la pulizia interna del solo serbatoio (ISO 22368-3). In realtà per il passaggio all’ipoclorito sarebbe comunque necessaria una pulizia interna completa (decontaminazione) e non il solo risciacquo. Tutto questo viene effettuato e certificato?
La pulizia di una città è un fatto quotidiano e non deve esplodere, come fatto meramente psicologico, in presenza del Coronavirus. Occorrono abituali interventi mirati a zone limitate e particolarmente sensibili quali aree mercatali, sottopassi pedonali, aree di attesa dei mezzi pubblici di trasporto, mercato settimanale, zone particolarmente affollate per manifestazioni, concerti, ecc. Non è certamente necessario un intervento “a tappeto” che, è opportuno ricordarlo, viene comunque inutilmente realizzato più volte nel periodo primaverile-estivo a partire dal 1973, anno dell’epidemia di colera nel territorio napoletano e barese. E’ certamente necessaria un’opera periodica di derattizzazione, di manutenzione e sanificazione delle reti fognarie e delle isole ecologiche. Ma anche i cittadini hanno le loro responsabilità: continua imperterrito l’abbandono dei rifiuti (che ormai comprendono anche guanti e mascherine), si continuano a depositare i sacchetti dell’umido senza il mastello, è ancora diffusa l’abitudine di sputare per terra e di non raccogliere le deiezioni dei cani; si utilizzano le aiuole come cestini porta-rifiuti, si lasciano ovunque bottiglie di birra, alcuni commercianti maneggiano contemporaneamente il denaro ed i prodotti alimentari. Ed infine un paradosso: la “scheda di dati di sicurezza” dell’ipoclorito di sodio creata dal PQR (Product Quality Review) che è un documento obbligatorio richiesto per ogni prodotto autorizzato, dichiara che va evitata la formazione di aerosol e che la sostanza non va dispersa nell’ambiente.