Musica, vitamina indispensabile per crescere

Vi siete mai chiesti come mai un bambino sappia parlare benissimo la sua lingua in qualsiasi parte del mondo nasca? La stessa che per noi adulti può risultare ostica e incomprensibile?

E’ il miracolo della lingua madre. Un bambino ascolta gli stessi suoni sin dalla nascita, anzi già dal grembo materno. Ogni genitore o persona che gli sta intorno si rivolge a lui nella sua lingua ripetutamente, scandendo le parole e reiterando alcuni lemmi. E’ così che il neonato stimolato da più parti associa quei suoni a persone, cibo e oggetti. L’incoraggiamento a ripetere e riprodurre stimolano il bambino ad imitare.

Studi scientifici perdurati in tutto il ‘900 hanno confermato che l’ambiente che si crea intorno ad un bambino sin dalla nascita è fondamentale per la sua crescita e per tutto il suo futuro.

“L’uomo è figlio del suo ambiente” potremmo sintetizzare utilizzando le parole di Schinichi Suzuki, musicista giapponese.

Le neuroscienze negli ultimi anni hanno approfondito molto l’aspetto formativo ed educativo proveniente da più stimoli. Studi di neurofisiologia confermano che il cervello umano, sviluppandosi nel feto già nei primi mesi, è pronto a ricevere stimoli anche attraverso il grembo materno. Dalla nascita e fino ai 3 anni  si creano il 70-80% delle connessioni neurali; a 3 anni la crescita delle cellule cerebrali è già l’80% di quella di un uomo adulto.

 Questa costruzione di tracciati prende inizio sin dalle prime esperienze in cui sono coinvolti udito, olfatto, vista, tatto, gusto, creando così un archivio. Ogni cosa che impara lo arricchisce, ma al tempo stesso crea in lui delle memorie che orientano in modo sempre più dettagliato il suo comportamento. Si traccia il futuro del bambino stesso. Usando una metafora possiamo paragonare il cervello ad una scacchiera in cui all’inizio della partita tutte le mosse sono possibili, poi man mano le combinazioni si riducono.

Da zero a tre anni è il periodo in cui l’ambiente influisce maggiormente.

Durante il secolo scorso sono spuntati episodi poi saliti all’onore della cronaca in cui si assisteva a ritrovamenti di bambini allo stato brado in zone sperdute del pianeta o esperimenti di “asocialità” su alcuni casi.

Bambini abbandonati allevati da un lupo avevano assunto tutte le caratteristiche di questo animale, persino una peluria sulle spalle e sul petto, acuito la vista al buio e l’olfatto sensibile; erano rapidissimi nella corsa a quattro zampe, afferravano gli oggetti con la bocca e così via fino a preferire la notte al giorno. Il linguaggio era insesistente e si “esprimevano” in versi. Negli anni delle “sperimentazioni abominevoli” i bambini erano cavie da laboratorio. In alcuni orfanotrofi si sperimentava quanto un bambino lasciato in isolamento sopravvivesse e in che modo. I bambini non avevano nome, non venivano mai chiamati, non incrociavano mai lo sguardo degli inservienti, il cibo non veniva donato ma relegato in un angolo della stanza con conseguente inedia totale del bambino fino a spingerlo alla morte. Questi due episodi estremi ci portano a convincerci di quanto, nonostante avessero ereditato dei caratteri diversi, l’ambiente abbia influito sulla crescita e sullo sviluppo.

Al contempo esperimenti sociali avviati negli Stati Uniti dopo gli anni ’50 hanno dimostrato che individui provenienti da un humus sociale molto degradato abbiano potuto migliorarsi, acculturarsi e cambiare prospettive di vita se inseriti in ambienti favorevoli ed educativi.

Ne consegue che tutti gli studi psicanalitici hanno influito molto sulla didattica di tante discipline umanistiche, scientifiche e artistiche.

Anche la musica, l’arte e la didattica che mi sta più a cuore, è stata influenzata da queste ricerche. Mentre un tempo si pensava che suonare da piccoli fosse solo appannaggio di bambini geniali e con un talento fuori dal comune, ora si è sempre più convinti che in realtà sia frutto di abilità sviluppate precocemente inserite in un ambiente favorevole.

Tutti gli insegnanti di musica possono testimoniare di aver ricevuto almeno dieci volte nella vita la domanda “Maestro, secondo lei mio figlio è portato per la musica?”. E’ difficile scalfire quanto l’immaginario collettivo creda che la musica sia frutto solo di talento. In tantissimi anni di insegnamento posso garantire di aver riscontrato alunni di indole talentuosa incapaci di avere rigore nello studio e alunni che mostravano meno naturalità nella musica conseguire poi importanti traguardi. Le abilità nascono e si sviluppano fin dall’inizio anche attraverso l’azione della forza vitale di un individuo quando si pone di fronte alla vita e all’ambiente. Perciò la sola qualità superiore che un bambino può avere alla nascita rispetto ad un altro è l’abilità di adattarsi prima degli altri e con maggior sensibilità al suo ambiente e ai suoi stimoli.

“Non si deve insegnare la musica ai bambini per farli diventare grandi musicisti, ma perché imparino ad ascoltare e, di conseguenza, ad essere ascoltati.” scriveva Claudio Abbado

Nel Novecento si sono sviluppati tanti metodi didattici musicali sia per il canto, il ritmo-movimento che per gli strumenti musicali. Pedagoghi come Dalcroze, Orff, Kodaly, Suzuki, Gordon, Nelson pur lavorando in autonomia in zone lontane del pianeta hanno formulato princìpi e metodologie adatte all’apprendimento ludico della musica in tenera età condividendo l’idea che ad ogni bambino possiamo dare gli stimoli necessari allo sviluppo della sua personalità. Essa si forgerà includendo le attitudini personali, la formazione e il vissuto.

Offrire ad un bambino la possibilità di seguire dei corsi musicali non deve avere l’obiettivo di sviluppare un talento ma donare l’opportunità di crescere in armonia con se stesso e con gli altri per comunicargli l’amore per un’arte così completa quale è la musica che attraverso la bellezza educa alla passione, alla costanza e alla disciplina.

 “Se togliamo ai nostri figli la possibilità di avvicinarsi all’arte, alla poesia, alla bellezza, in una sola parola alla cultura, siamo destinati a un futuro di gente superficiale e pericolosa. Per questo occorre difendere un settore che non esiste per dare dei profitti, ma per parlare direttamente alla gente.” Riccardo Muti