Vita e messaggio di Osho

Bhagwan Shree Rajneesh, nato Chandra Mohan e meglio conosciuto come Osho, nacque l’11 dicembre 1931 in un piccolo villaggio dell’India centrale, Kuchwada, nel Madhya Pradesh. Egli è un Illuminato, splendido Maestro di Vita e di Realtà, morto poco meno di venti anni fa.

  Come egli stesso spiegò, il suo nome Osho deriva dal termine foggiato dal filosofo inglese William James, “Oceanico”, che in inglese si pronuncia “osheanic”, per indicare l’esperienza del dissolversi nell’oceano dell’esistenza. Ma “Oceanico” si limita a descrivere solo tale esperienza. Per definire colui che fa questa esperienza, James pensò la parola “Osho”. Il 27 febbraio 1989 i sannyasin di Bhagwan Shree Rajneesh decisero all’unanimità di chiamarlo semplicemente Osho.

  Osho visse l’esperienza del dissolversi nell’oceano dell’esistenza, che altro non è che l’esperienza dell’Illuminazione, il 21 marzo del 1953, all’età di 21 anni. Continuò comunque i suoi studi e laureatosi in filosofia nel 1956, insegnò in un’Università indiana fino al 1966, quando lasciò l’insegnamento per dedicarsi, in giro per tutta l’India, alla condivisione della sua esperienza di Illuminato in convegni a cui partecipavano folle anche di centomila persone, riunitesi per ascoltare i suoi profondi insegnamenti di vita.

   Alla fine degli anni Sessanta si stabilisce a Bombay dove crea una Comunità spirituale o Ashram, che viene trasferita a Pune il 21 marzo del 1974, in occasione del ventunesimo anniversario della sua Illuminazione. Tale comunità si ispira alla sua visione di un Uomo Nuovo e di un nuovo stile di vita in cui regna la pace, l’armonia e la quiete interiore. Per ciò, ancora oggi, ogni anno viene visitata da migliaia di persone provenienti da ogni parte del mondo alla ricerca del loro sé autentico. Tutti i giorni al suo interno, oltre a svariate attività ricreative e didattiche per la crescita personale, vi si pratica la meditazione per sviluppare la consapevolezza e raggiungere stati di estasi e beatitudine.

  Negli anni al suo interno Osho sviluppò alcune tecniche di meditazione attiva, che si propongono di armonizzare la realtà esteriore con quella interiore, attraverso intense pratiche catartiche che preparano al silenzio interiore, irraggiungibile fin quando una caterva di pensieri ed emozioni affollano la mente. Tecniche adattate all’uomo occidentale e all’uomo moderno in generale, incapace di staccare la spina per cercare il silenzio interiore.

  Essenzialmente egli dice che la meditazione è uno stato naturale dell’essere che perdiamo nell’uniformarci alle norme sociali. L’autenticità originaria si può ritrovare praticando la meditazione, che, appunto, non è altro che consapevolezza ed esperienza del presente, del qui e ora, l’unico istante in cui si vive realmente e si celebra la vita. Infatti, il passato è solo ricordo, Karma, e il futuro è immaginazione di qualcosa che deve ancora venire.

  Il rilassamento, la scomparsa dell’ego e della mente, il porsi come testimoni di tutto ciò che ci accade, dentro e fuori, troncando ogni identificazione con questi, e la pace raggiunti con la meditazione, colmano il cuore d’amore e d’immensa gioia. Cosicché si sperimenta l’unione col Tutto, col Divino che è sempre stato in noi ma che non conoscevamo proprio perché troppo assorbiti dai nostri pensieri e dalle nostre preoccupazioni quotidiane.

  Insomma, il messaggio di Osho è di amore per il Tutto, è l’amore Universale, conquistabile attraverso la meditazione, da cui scaturisce un nuovo umanesimo e una nuova morale, e pace, fratellanza, sentimento ecologico e ogni bene possibile. Nello stato d’Illuminato il male non è assolutamente concepibile.

  Il suo è un messaggio rivoluzionario, perché scardina il nostro abitudinario modo di pensare e di concepire la realtà. Ciò è stato oggetto di fraintendimenti e ha causato un accanimento giudiziario nei suoi confronti da parte delle autorità americane durante un suo esperimento comunitario in Oregon, in piena amministrazione Reagan, questi convinto fondamentalista cristiano. L’accusa ufficiale era di aver violato le leggi sulla immigrazione; ma in realtà esse temevano simile esperimento che raccoglieva migliaia di giovani americani di buona famiglia, che andavano a vivere nella comunità rinnegando il vecchio stile di vita.

  Così videro in Osho un pericoloso corruttore dei loro giovani, che doveva essere fermato a tutti i costi.  Arrestato e spostato in varie carceri federali, alla fine lo espulsero dal suolo americano, facendo pure in modo, usando la loro influenza politica, di non essere accolto da nessun altro stato. Dopo, infatti, varie peregrinazioni e soste in aeroporti stranieri, dove puntualmente gli rifiutarono l’ingresso in quanto soggetto indesiderato, si stabilì in India.

  Quivi morì, o, meglio,  lasciò il proprio corpo, come amava ripetere nell’intendere la straordinaria esperienza della morte, il 19 gennaio del 1990. Una morte avvenuta in circostanze misteriose e sospette. Avvelenamento da tallio, un metallo simile al piombo i cui sali si utilizzano come insetticidi e topicidi, provato con apposite analisi alcuni anni dopo la sua prigionia americana, probabilmente perpetrato in uno degli spostamenti di carcere prima detti.

  L’avvelenamento da tallio non lascia segni evidenti subito, ma consuma progressivamente l’organismo negli anni, con precisi sintomi molto dolorosi e debilitanti, difficilmente confondibili. Tali sintomi Osho cominciò a manifestare proprio dopo le sue traversie giudiziarie negli USA retti dai fanatici cristiani fondamentalisti.  Chi volesse approfondire quest’ultimo argomento può consultare il libro Operazione Socrate di Majid Valcarenghi e Ida Porta, edito da Tranchida Editori