Effetto valanga – Come fu che l’economia e la finanza si sostituirono alla politica
L’economista canadese John Kenneth Galbraith (1908-2006), individuò almeno cinque fattori di debolezza nell’economia americana responsabili della seconda crisi economica (1929): cattiva distribuzione del reddito; cattiva struttura o cattiva gestione delle aziende industriali e finanziarie; cattiva struttura del sistema bancario; eccesso di prestiti a carattere speculativo; errata scienza economica (perseguimento ossessivo del pareggio di bilancio e quindi assenza di intervento statale considerato un fattore penalizzante per l’economia). La Scuola austriaca invece afferma il contrario, e cioè che fu l’eccessivo intervento statale nell’economia, a partire dagli anni ’10 con il presidente Woodrow Wilson, a causare il crollo di Wall Street e dunque la Grande Depressione. Secondo il maggiore esponente di tale scuola, l’economista statunitense Murray N. Rothbard (1926-1995), la causa principale sarebbe stata la politica monetaria inflazionistica della Federal Reserve Bank, istituita nel 1913.
Comunque sia, la tesi di John Kenneth Galbraith sembra quella che più si attagli quantomeno alle crisi odierne, dato che l’intervento degli Stati nell’economia è solo un lontano ricordo. E’ bene ricordare che la controrivoluzione anti-keynesiana, iniziata circa quattro decenni anni fa (tra gli anni ’70 e ’80), è stata costruita sulle teorie iperliberiste elaborate dalla Scuola di Chicago di Economia. Esse hanno rideterminato l’attuale disparità sociale, dove l’equa distribuzione della ricchezza è diventata solo un miraggio. Secondo tale teoria, fra le altre esigenze di un capitalismo puro, svincolato da qualsiasi intervento statale e che si autoregoli secondo leggi di natura che mantengono il giusto equilibrio tra domanda e offerta, c’è anche la libertà di applicare i “prezzi giusti” e non imposti dai Governi; quindi, il capitalista può ridurre i salari, se lo ritiene necessario. Il problema sopravviene quando tale riduzione è solo funzionale al massimo profitto immediato; infatti, l’impresa che condivide il pensiero iperliberista, non contempla quasi mai saggi e lungimiranti autocorrettivi salariali e minori profitti. Eppure ciò servirebbe per mantenere costantemente acceso il motore economico. Motore che a un certo punto, quando la perdita del potere di acquisto delle retribuzioni diventa critico, si spegne e arriva la saturazione dei beni prodotti, cioè, la vera crisi in un sistema economico così concepito, i cui capisaldi sono la deregulation (o laissez-faire in economia), le privatizzazioni e i tagli consistenti alla spesa sociale.
Milton Friedman (1912-2006), economista statunitense e Premio Nobel nel 1976, è stato il maggiore esponente della Scuola di Chicago. Il suo pensiero ha influenzato fortemente le scelte economiche del governo britannico di Margaret Thatcher e di quello statunitense di Ronald Reagan. Si credeva che le sue teorie finalizzate a un capitalismo puro, non fossero applicabili nelle democrazie mature, le quali avrebbero rispedito a casa i politici che avessero voluto adottarle, ma erano benvenute nelle dittature di destra. Infatti, nella metà degli anni ’70 il Ministero dell’Economia del Cile di Pinochet, presieduto dal tecnico José Pinera, le adottò avvalendosi dei consigli dello stesso Friedman e assumendo i “Chicago boys” (economisti cileni formatisi alla Scuola di Chicago), provocando disoccupazione e miseria. La Thatcher però dimostrò che tali teorie potevano essere applicate anche in una democrazia occidentale, sfruttando un momento di grave crisi politica come la guerra nelle Falkland (1982) e lo sciopero dei minatori (1985). Ciò diede la stura alle teorie iperliberiste e inaugurò un nuovo tipo di capitalismo: quello dei disastri. Per chi lo volesse approfondire consiglio il saggio di Naomi Klein “Shock Economy”. Inoltre, “la regola” di politica monetaria di Friedman, incentrata sul controllo della crescita della massa monetaria, è ancora adottata dalla Federal Reserve e dalla BCE.
Ritornando alla crisi del ’29, il Congresso degli Stati Uniti nel dicembre 1933, per rimediare alla crisi che fece fallire diverse Banche, varò la legge bancaria Glass-Steagall Act. Nel 1999, con la promulgazione della legge bancaria Gramm-Leach-Bliley Act da parte dell’allora Presidente degli USA Bill Clinton, essa viene abolita. In tal modo si avviò lo stesso micidiale meccanismo finanziario speculativo deregolato di allora, che sfociò nelle crisi degli anni 2000. La Glass-Steagall Act aveva introdotto misure che limitavano la speculazione degli intermediari finanziari, separando nettamente le attività bancarie tradizionali (prestiti a famiglie e imprese) con quelle di affari (investimento in borsa dei soldi degli investitori). Con l’istituzione della Federal Deposit Insurance Corporation nel giugno 1933, limitò i panici bancari, cioè la corsa agli sportelli. Invece, una volta promulgata dal Presidente Clinton l’abrogazione della Glass-Steagall Act, si costituirono gruppi bancari che al loro interno permisero, seppur con alcune limitazioni, di esercitare sia l’attività bancaria tradizionale che l’attività di investimento bancario e assicurativo. Ciò determinò le disastrose bolle speculative dei primi anni del 2000, che insieme alla politica del credito con bassi tassi d’interesse (variabile, che poi s’impenna tragicamente) per stimolare la cosiddetta “economia del debito” e soprattutto con la proliferazione dei “subprime” (prestiti concessi a debitori con pregressi problemi di solvibilità e quindi ad alto rischio d’insolvenza), culmina nella grave crisi economica del 2008, con il fallimento di importanti banche statunitensi che trascinarono nella crisi il mondo intero, dato l’avanzato stato di globalizzazione dell’economia. Le agenzie di rating non sempre forniscono dati precisi sulla solidità e solvibilità delle società o dei Paesi che emettono titoli sul mercato finanziario. In Italia successe però che queste agenzie assegnarono un rating molto alto, come la tripla A (massima affidabilità) alle obbligazioni emesse dalla Parmalat poco tempo prima del suo crac nel 2003; o a quelle garantite dai mutui subprime concessi dalle banche americane, ad esempio la Lehman Brothers, poco prima del suo fallimento che avvenne il 15 settembre del 2008.
Il problema sta nel fatto che le agenzie di rating sono delle società partecipate da grosse multinazionali, per cui il conflitto di interesse non si può escludere a priori e il sospetto che le loro capacità di previsioni non siano sempre precise si può insinuare nelle menti. D’altronde se ci fossero agenzie di rating statali, il sospetto si insinuerebbe ugualmente poiché le previsioni potrebbero non essere sempre oggettive e trasparenti. A quanto pare il mondo s’è ridotto a un enorme e micidiale intreccio di conflitti di interessi privati, che di fatto hanno svuotato il nobile concetto di democrazia del suo reale significato. L’ambiguo ruolo delle Banche Centrali ne è un altro esempio, con la loro totale indipendenza dai governi sulle politiche monetarie da attuare, specie quello della BCE che grazie al suo statuto, che è un vero mostro giuridico, insegue unicamente l’obiettivo della stabilizzazione dei prezzi per evitare fenomeni d’inflazione; cosa che riduce drammaticamente la liquidità in circolazione. La BCE poi lascia l’onere della crescita alle politiche fiscali dei singoli Stati, accomunati dall’euro ma non da una politica fiscale, i quali, per avere liquidità sono costretti ad aumentare i prelievi fiscali e il Debito Pubblico. Le Banche Centrali indipendenti sono nate, o in tali si sono trasformate, per limitare la discrezionalità degli Stati di creare moneta, specie quelli politicamente più instabili, che abusandone potevano determinare pericolose inflazioni o iperinflazioni. Tale rischio si palesò dopo l’abbandono del sistema aureo classico, quando la creazione di denaro era vincolato dalla quantità delle riserve auree in possesso dello Stato, non più sostenibile con l’aumento dei volumi di scambio delle merci. L’indipendenza dalle riserve auree per produrre denaro seguì alla Conferenza di Bretton Woods del 1944, nella quale si istituirono l’FMI e la Banca Mondiale, ratificati da un certo numero di Paesi nel 1946.
(seconda parte)