Rimpiangeremo l’IRI, l’istituto per la ricostruzione industriale?

Non tutti ricordano, o sanno, che anni fa importanti opere pubbliche nazionali come le autostrade furono finanziate con la emissione di titoli a tassi di interesse bassi per l’epoca ma elevatissimi per gli standard odierni. Per costruire un impianto siderurgico non si prelevava dalle tasche dell’ignaro contribuente ma si emettevano titoli ad hoc. I risparmiatori che lo volevano compravano quei titoli e così, volontariamente, partecipavano alla edificazione delle opere. Qualcuno investiva di più, altri di meno, ma nulla accadeva fuori dalla libera scelta e quindi dalla individuale convenienza. Oggi invece qualunque opera pubblica viene realizzata attingendo ai mezzi parcheggiati nel bilancio pubblico e proveniente dalle tasse. Quando questo si rivela incapiente perché per la gran parte è già ipotecato dalla spesa corrente (cioè gli stipendi) si ricorre ad aumentare il debito che lo stato contrae usualmente con le banche; debito che però sarà onorato dal contribuente…

Un buon amministratore dovrebbe ispirarsi alle regole di sana ed oculata gestione e la dottrina ci insegna che le spese per investimenti non dovrebbero essere finanziati con prelievi dal bilancio corrente che, a sua volta, grava sul Pil. Non v’è azienda pubblica e privata che per investimenti così rilevanti non preveda di contrarre prestiti ad hoc che vengono poi restituiti in molti anni. Inoltre l’investimento produce esso stesso un vantaggio economico che permette di pagare il servizio di quel debito e il debito stesso. Lo Stato deve solo garantire quel debito e quegli interessi, non altro.
Tutto questo è ormai fuori moda e nessuno neanche lontanamente pensa a soluzioni differenti dall’attingere dal bilancio pubblico. Pure sui conti correnti bancari giacciono inutilizzati centinaia di miliardi di euro che non attendono altro che una remunerazione certa, anche se minima, per trasformarsi in titoli e finanziare le necessarie opere. Se si tornasse a quel modello finanziario di cui l’IRI, e le banche ad esso collegate, era maestro, potremmo senza dubbi registrare tassi di crescita del Pil multipli dell’attuale senza aggravi sul bilancio pubblico e beneficiando grandemente i risparmiatori oggi ridotti a subire falcidie spesso feroci dei propri risparmi. Invece ci si indebita verso l’estero; cui si dovrà restituire il capitale ottenuto, pagare un interesse anche se modesto e subire un controllo che non sempre è illuminato. Come mai è stata fatta una scelta così manifestamente controproducente? Come mai i media non si sono accorti di tale enorme svarione?

Gli storici dell’economia fra decenni ci spiegheranno quali interessi inconfessabili portano la politica a fare debiti verso stranieri e a utilizzare in modo molto timido il risparmio italiano e a ricordarsene raramente solo come polemica strumentale ad altri obiettivi.
Invece potremmo invertire drasticamente l’attuale situazione e rilanciare decisamente lo sviluppo.