La precarietà

La nostra sarà ricordata come l’epoca della precarietà. È infatti incerto il futuro dei nostri risparmi, è incerto il futuro dei lavoratori, è incerto il futuro dei nostri piccoli imprenditori, è incerto il futuro delle pensioni, è incerto anche il futuro dei dipendenti pubblici, è incerto l’umore dell’elettorato che si sposta con facilità estrema e quindi non premia i meriti ma le tattiche elettorali e propagandistiche; è incerto il futuro di banche e bilanci pubblici… Veniamo da un tempo in cui se producevi potevi anche arricchirti, oggi la mondializzazione e la tecnologia ti buttano fuori mercato prima che tu te ne accorga. Danneggiando così il sistema del credito e il gettito erariale, le grandi aziende fornitrici della materia prima e il popolo dei lavoratori. Contemporaneamente si inneggia al trionfo della robotica che avrà il merito di espellere sempre più gente dal mondo del lavoro o, al più, di riciclarla per riparare quei robot e inventarne di nuovi. La gente percepisce perfettamente questa incertezza e chiede che la si limiti in qualche modo e misura.
Invece la autoreferenziale intellighenzia che sovraintende e ispira politica, società ed economia, insiste nella sottovalutazione della precarietà.

La storia ci ha insegnato che la richiesta di certezze può portare a scelte e scenari anche estremi. Ci ha anche detto che ignorare la volontà popolare o interpretarla male non solo ipoteca il futuro ma danneggia anche i potenti di oggi. Questa precarietà che colpisce i più deboli, in realtà danneggia, forse maggiormente Istituzioni e poteri forti che più volte sono stati sul punto di essere travolti dal disastro; ed è incredibile che non si pensi a porre riparo a questo disastro in modo sistemico ma ci si accontenti di nuovo debito e di danari freschi di stampa.

Il covid ha ulteriormente accentuato questo senso di incertezza con una aggravante forse prevista e voluta: ha fiaccato anche la fiducia in se stessi di tutti i cittadini. Serpeggia e si accresce una rassegnazione sempre più diffusa e quindi un attendismo passivo pericolosissimo. “Per male che vada lo stato ci aiuterà” si pensa e si crede, e quindi ci si aggrappa a questa comoda certezza regalataci dai media ispirati dalle istituzioni.. dimenticando che lo Stato siamo noi, annacquando ogni ardimento, cioè ipotecando il futuro. Fenomeno ormai diffuso in ogni parte del mondo.
Su tutta questa precarietà aleggia una meritocrazia al contrario che sembra scientificamente scegliere i peggiori e più insignificanti per coprire gli incarichi più importanti; scelta figlia di una molto male intesa concezione di democrazia. Democrazia che così diviene precaria anch’essa.
In queste condizioni il futuro non potrà che essere peggio del passato; a noi cambiare decisamente la rotta.