Quella violenza senza volto. Maltrattamento di animali e adolescenti

Ha suscitato sdegno e orrore il video del ragazzino che, nel Napoletano, ha colpito violentemente un gattino scaraventandolo su un muro. Un atto criminale di spettacolarizzazione della sofferenza, come definito in altro intervento.

Purtroppo, episodi simili non sono infrequenti e la cronaca sovente ci narra di giovanissimi che si macchiano di violenze inaudite a danno di animali. Ma i dati giudiziari, emersi dall’analisi del Rapporto Zoomafia LAV, indicano un’altra storia: negli ultimi cinque anni i ragazzi che sono stati denunciati alle Procure della Repubblica presso i Tribunali per i Minorenni italiani per crimini contro gli animali sono 150. Un numero sicuramente inferiore rispetto ai casi realmente accaduti.

Alcuni anni fa ho condotto una ricerca nelle scuole medie, “Ho ucciso un po’ di lucertole”, che vide la partecipazione di 1500 studenti (750 femmine e 750 maschi), tra gli 11 e i 14 anni, che risposero a un questionario della LAV (www.lav.it). L’analisi delle risposte ci ha restituito dei dati molto interessanti e per certi versi inaspettati. Dalle risposte emerse chiaramente che il maltrattamento non è generato dalla paura degli animali: gli studenti che dichiararono di aver maltrattato animali e anche di aver paura di loro furono appena due, un maschio e una femmina. Di più quelli che dichiararono di aver paura solo di alcuni animali, ma la percentuale fu comunque minima: appena il 7,9% di coloro che avevano in precedenza maltrattato animali. Le specie di cui avevano paura e quelle oggetto di maltrattato coincidevano in tutto o in parte. La paura, quindi, suggerisce tale analisi, se incide sulla genesi degli atti violenti contro gli animali lo fa in modo del tutto residuale.

Il 43,3% del campione dichiarò di aver assistito personalmente a un maltrattamento di animali (il 43,6% dei maschi e il 42,9% delle femmine). Non avevano mai assistito a un maltrattamento, invece, la maggioranza del campione: il 56,7% (il 56,4%, dei maschi e il 57,1% delle femmine). Per quanto riguarda le forme di maltrattamento “assistito”, l’8,2% avevano assistito ad “atti non cruenti” (sberle e percosse “educative” agli animali, strattonare cani, distruzione di nidi senza uccelli ecc.); il 4% ad “atti potenzialmente cruenti” (lanciare pietre contro animali a sangue caldo senza ucciderli, abbandonare animali o detenerli in condizioni di cattività estrema, cani a catena corta o animali ammassati in gabbie ecc.); il 3,1% ad “atti cruenti”(uccisione di rane, rospi, lucertole ecc., sevizie ai pesciolini rossi; il taglio della coda alle lucertola ecc.); infine, il 9,7% ad “atti particolarmente cruenti” (uccisione o la tortura di un vertebrato a sangue caldo; l’uccisione a scopo alimentare e macellazione, atti di maltrattamento violento).

“Chi hai visto maltrattare un animale?”: a questa domanda, la maggioranza, il 41%, rispose “estranei adulti”; il 12,2%, invece, rispose: “familiari adulti”; stessa percentuale per “conoscenti”; il 3,7% “familiari bambini o adolescenti”; il 3,1% “compagni di scuola”; il 2,6% “amici”; infine, il 25,2% indicò più categorie di persone.  

Com’è noto, l’esposizione continua a forme di violenza, anche se solo come spettatori, può portare alla desensibilizzazione nei riguardi della sofferenza altrui e all’assuefazione alla violenza stessa. Risulta, pertanto, molto preoccupante quel 12,2% che ha assistito ad atti di maltrattamento commessi da familiari adulti. La famiglia è un gruppo sociale primario, importate per lo sviluppo equilibrato della personalità e la positiva integrazione sociale futura. Essa, però, può favorire anche l’apprendimento da parte dei più piccoli di valori e modelli antisociali e trasmettere contenuti disonesti, ideologie violente, indifferenza per i valori umani e sociali che rientrano tra i futuri fattori criminogeni, in quanto metodi di educazione sbagliati possono costituire un rischio di delinquenza. Quali valori può apprendere un bambino costretto a partecipare emotivamente, se non materialmente, alla tortura di un animale?

Sul maltrattamento agito dai ragazzi, il 14,4% del campione dichiarò di aver maltrattato un animale almeno una volta. Si tratta del 19,1% dei maschi e del 9,7% delle femmine. Il 47,2% di coloro che avevano maltrattato animali lo aveva fatto una sola volta; il 5,3% lo fatto “un paio di volte”; l’1,2% “Sì, diverse volte”; percentuale poco diversa per coloro che risposero “Sì, lo faccio spesso”, l’1,1%.

Interessante il dato secondo cui il 42,6% di coloro che avevano maltrattato animali avevano anche assistito a maltrattamenti di animali da parte di altre persone. Una riprova del fatto che la violenza assistita è prodromica ad altra violenza. È noto che il tema della crudeltà nei riguardi degli animali è strettamente collegato al tema della violenza nei riguardi degli esseri umani e dei comportamenti antisociali in genere. Da decenni in criminologia e in psicologica la ricerca presta attenzione agli effetti e alle conseguenze del coinvolgimento, in modo diretto o indiretto, dei bambini o degli adolescenti a forme di violenza. Le conseguenze più significative possono essere lo sviluppo di comportamenti aggressivi e antisociali e, in ogni caso, la difficoltà nei rapporti con i coetanei e nei rapporti sociali in genere.

Siamo portati a ritenere che il male sia lontano da noi, proiettandolo sugli altri, e facciamo di tutto per non scorgerlo in noi o nelle persone a noi care. Purtroppo, il maltrattamento degli animali è uno dei mali più diffusi nella nostra società, che investe anche il mondo dei più giovani. Per questo sono importanti le politiche giovanili tese all’educazione e al rispetto di tutti i viventi.