Napoli alla ribalta

I cortei di Napoli hanno lasciato tutti sgomenti. I cittadini di tutta Italia non aspettavano un evento così plateale e anche le forze dell’ordine sono apparse sorprese. Naturalmente si sprecano le dichiarazioni che condannano le violenze che per taluni sono “inaccettabili” (come se esistano violenze “accettabili”) mentre altri rilevano che alcuni o molti dei protestatari erano malavitosi (volevano che scendessero in piazza notai o farmacisti in giacca e cravatta?). È il gioco delle parti che vede le proteste da una parte e i destinatari della protesta dall’altra oltre allo scarica barile tra i vari enti locali.

È evidente che un po’ di ragione non si può non riconoscere ai manifestanti tant’è che le categorie interessate non sono felici di portare da sole l’intero fardello delle chiusure obbligatorie..

Ma non si può non ricordare che poche settimane fa il Presidente del Luca è stato confermato alla guida della Regione con percentuali elevate ed è stato un successo attribuito proprio al suo decisionismo anche un po’ estremo! Quindi il de Luca si è sentito autorizzato a procedere anche con i “lanciafiamme” contro il contagio. Però appena si è avventurato in questo sentiero una porzione non trascurabile di napoletani lo ha smentito solennemente. 

Un pasticcio che ri-propone la questione della democrazia rappresentativa che non rappresenta molte minoranze e che non interpreta le esigenze di tutti ma porta avanti gli interessi della maggioranza; schiacciando quelli che sono politicamente deboli.

Ma si pone anche un’altra questione ancora più sottile. La maggioranza silenziosa che avalla con il proprio silenzio le scelte del governo nazionale e regionale è inequivocabilmente quella composta da dipendenti pubblici che non pagano neanche un centesimo questa lotta al contagio; invece gli autonomi devono rinunziare a lavorare e rimangono debitori del carico fiscale ordinario che serve a pagare gli stipendi a quelli che stanno al caldo a casa ad attendere che il contagio passi. Circostanza molto ben rappresentata quasi plasticamente dallo scontro anche fisico tra dipendenti pubblici in divisa e attrezzati a puntino contro l’attacco di gente di ogni tipo che -c’è da giurarlo- non ha mai preso uno stipendio pubblico ma forse alcune delle tante forme di assistenza (reddito di cittadinanza, indennità di disoccupazione) per mitigare il loro stato di indigenza.

Se si fossero ridotti anche gli stipendi pubblici (quanto meno per equità nel coprire le nuove voragini nel bilancio pubblico) e le pensioni in piazza sarebbero scesi anche questi ultimi…

Quindi se pensiamo che a protestare in Italia sono per lo più esercenti autonomi (quindi i pagatori netti di tasse) mentre a resistere sono dipendenti pubblici (quindi i percettori netti di tasse pagate dai primi) capiamo che la storia è appena cominciata. Cioè a Napoli è andata in scena la prima di una nuova contrapposizione politica che è ben diversa da quella destra/sinistra cui siamo abituati.

Immediatamente si sono alzate alcune autorevolissime voci che hanno rassicurato i manifestanti: “presto prevederemo ristori per i ristoratori”; così, sfidando apertamente il ridicolo, si resuscita la politica che si applicò a Masaniello e si affossa ulteriormente il bilancio pubblico che sarà ripianato dai soliti pagatori di tasse che scendono in piazza… mentre i percettori delle stesse rimarranno ad attendere serenamente l’arrivo del 27 del mese.

Ovviamente è impensabile ridurre anche di pochissimo gli stipendi pubblici; si dovrà procedere ad accrescere i profitti dei pagatori di tasse cioè: avviare lo sviluppo. Non può reggere a lungo anche nell’interesse dei dipendenti pubblici una economia in cui colui che paga le tasse è povero o perennemente sull’orlo del fallimento. Serve esattamente l’inverso; il covid ha reso improcrastinabile l’avvio dello sviluppo vero e cioè non assistito.