Droga, pusher e animali: le vie oltreumane dei trafficanti
932 chili di droga nascosta tra le cozze congelate in arrivo dal Cile scoperta dai funzionari dell’Agenzia delle Dogane di Gioia Tauro (Adm) e dagli uomini del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria. 800 panetti di cocaina purissima.

Un colpo non frutto del caso, ma di un’indagine accurata, come quella che portò nel mese di marzo del 2011, sempre al porto di Gioia Tauro, al sequestro di 220 chili di cocaina nascosta tra un carico di scatole di pesce surgelato e uno di banane. La criminalità organizzata non è nuova a questi stratagemmi per eludere i controlli: i canali del traffico di stupefacenti si intrecciano spesso con quelli del commercio di animali vivi, di animali morti o parti di essi, destinati al consumo umano, o quelli del traffico di specie protette. Sovente ricorrono le cozze, come quelle che, evidentemente, sono risultate indigeste ad una ecuadoregna di vent’anni arrestata nel mese di luglio del 2013 all’aeroporto milanese di Linate dalla Guardia di Finanza con l’accusa di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, dopo la scoperta di 4 chili e mezzo di cocaina trasportati in contenitori alimentari assieme a tre blocchi di mitili e pesce congelato.
Le vie e i metodi per trafficare o spacciare stupefacenti sono diversi e spesso criminalmente ingegnosi. Si pensi a quanto accertato all’inizio del 2009 dai Carabinieri nel corso dell’operazione “Centauro”: droga inserita nell’apparato riproduttivo di mucche per essere trasportata nel Bresciano. Questo metodo, però, non era nuovo, poiché fu scoperto intorno alla metà degli anni ‘90 nel Napoletano, quando i clan della camorra trasportavano droga in ovuli inseriti nella vagina delle cavalle. I carichi venivano indirizzati a strutture di riferimento direttamente gestite da camorristi napoletani, fra le quali scuderie, stazioni di monta di cavalli da corsa, ippodromi e così via. Ma anche i cani, loro malgrado, sono stati utilizzati come corrieri di stupefacenti: le gang latinos sgominate alcuni anni fa dalla Polizia di Stato di Milano utilizzavano cani di grossa taglia come vettori della droga che importavano, imbottendoli di cocaina prima della partenza e poi uccidendoli per recuperarla. Anche in questo caso non era una pratica nuova, alcuni mesi prima fu accertato il caso di due cani, un rottweiler e un dogue de bordeaux, utilizzati da un pregiudicato del Pisano per trafficare cocaina. “Canis canem non est”, cane non mangia cane, sentenzia l’antica locuzione latina. Evidentemente la cosa era stata presa alla lettera dalla banda di 18 italiani sgominata nel mese di febbraio 2009 dalla squadra mobile di Rimini che importava cocaina e hashish dalla Colombia e dalla Bolivia: a volte gli stupefacenti erano nascosti nel sottofondo di un trasportino per cani spedito con un aereo, allo scopo di disorientare i cani antidroga. Andando indietro nel tempo, troviamo altri casi.
È noto che quando Cosa Nostra doveva affrontare la concorrenza dei cartelli internazionali e pertanto non poteva permettersi di perdere un carico per interventi della polizia, la droga arrivava a Palermo da Bogotà con partite di pesce congelato: i merluzzi dovevano sviare i cani della polizia. Nel Napoletano, invece, i clan della “Ercolano connection” degli anni ’90 facevano arrivare da Medellin la cocaina assieme alle aragoste, in modo da evitare i controlli alle dogane. Particolare, questo, raccontato dai pentiti e che ha trovato conferma in sede giudiziaria. Sempre alla fine degli anni ‘90 fu scoperto un traffico di droga proveniente dal Marocco; droga che veniva caricata in Spagna e importata in Italia attraverso la frontiera di Ventimiglia, quindi trasportata a Napoli con Tir carichi di carne.
Sono oltre vent’anni, ormai, che l’Osservatorio Nazionale Zoomafia LAV analizza, cataloga e studia questi casi, una raccolta di dati davvero stupefacente.
Ciro Troiano