La saga di una Banca del sud
Verso la metà dell’ultimo decennio del secolo scorso la Banca d’Italia effettuò una durissima verifica al Banco di Napoli e ne decretò l’azzeramento delle azioni. La cosa era fondata oppure no? Quell’azzeramento comportò certamente la perdita dell’intero investimento di tutti gli azionisti e il trasferimento dell’intero Banco – e quindi con tutte le attività di sua proprietà – ad altri e poi ad altri ancora che le hanno gestite in tutti questi anni.
La questione è divenuta attuale perchè da qualche anno si è saputo che i crediti deteriorati, o per lo meno quelli ritenuti tali dagli ispettori, sono stati onorati per una percentuale elevatissima e quindi averli considerati “cattivi” è stata una leggerezza, o un errore, o cosa? La domanda è pertinente perché aver tolto al Mezzogiorno la sua maggiore banca non ha certamente favorito la sua crescita.
Alcuni azionisti avanzano richieste di indennizzo sapendo che il recupero dei crediti deteriorati ha formato un tesoretto che permette un almeno parziale recupero delle somme volatilizzate. È probabile che la spuntino.
Ma la questione è un’altra: il Banco era solvibile? Se si, vanno accertate le responsabilità e va sanato il diritto violato. Non si può pensare con un indennizzo tardivo e parziale a un numero limitatissimo di azionisti di lavarsi le mani di uno scippo di questa portata; né può essere considerato un precedente vincolante per il futuro. Ma questo va fatto non certo nel solo interesse del Sud o degli azionisti ma in quello dell’intero mercato mobiliare e della affidabilità del suo funzionamento. Le recenti vicende delle popolari dissestate da provvedimenti legislativi errati sommate al crollo della redditività delle banche ha gettato sul settore e sull’intero mercato un’ombra molto sinistra che può essere fugata in un solo modo: recuperando fiducia del risparmiatore verso il mercato e quindi il suo funzionamento spontaneo. Non è un mercato finanziario quello nel quale per ottenere il recupero dei propri risparmi devi fare azioni legali costose ed incerte e transigere con individui diversi da quelli cui hai affidato i tuoi soldi. E poi sperare in provvedimenti legislativi caritatevoli il risultato di decenni di stupidario politico è che nessuno investe più direttamente in azioni o obbligazioni né societarie, né pubbliche. Questa sfiducia vale più di una bocciatura alle elezioni e fa sorgere più di un dubbio anche sulla solvibilità del debitore sovrano Italia.
Lo Stato non deve mettere soldi ma deve garantire il rispetto delle regole e correggere gli eventuali errori; e basterebbe che queste elementari regole fossero applicate alla vicenda del Banco di Napoli per non solo riavviare il dialogo tra risparmio ed emittenti dei titoli ma anche tra base e mondo della politica. Altro non v’è.