USA: nessun sistema è perfetto
Il presidente Americano Donald Trump viene bandito dai social in seguito alle rivolte di Capitol Hill.
Gli esseri umani vivono di rituali, applicano simbologie ad ogni cosa: Imprecare in chiesa risulta diverso dal farlo ad un semaforo non perché sia uno spazio differente ma per ciò che la chiesa stessa rappresenta.
Sarebbe banale dire che Capitol Hill rappresenti il simbolo della democrazia americana, perché in questo caso il simbolo violato sono gli Stati Uniti stessi.
Al netto delle critiche che possono essere fatte alla democrazia americana, dal secondo dopoguerra, è noto che nessun sistema sia perfetto e che l’ipocrisia sia presente dappertutto.
Bisogna ammettere però che sia stata una democrazia di sicurezza; se c’era un luogo stabile dove il passaggio di potere pulito era una sorta di certezza quello erano e sono di certo gli Stati Uniti e non l’Europa.
L’idea che il meccanismo possa incepparsi determina un importante elemento di instabilità sia per gli Americani sia per gli Europei, che in pochi anni si sono dovuti rendere conto di essere da soli e che non c’è più la figura genitoriale degli Stati Uniti che dà l’esempio.
Questo passaggio fondamentale rischia di perdersi parlando solo dei tweet di Trump.
L’assalto a Capitol Hill del 6 Gennaio è stato tantissime cose: una carnevalata, una manifestazione, un evento intimidatorio e soprattutto sovversivo; con morti, poliziotti feriti e gente armata, apparentemente disposta a prendere ostaggi: in generale un evento ben lontano da una semplice manifestazione di dissenso.
Non lasciamo che l’uomo vestito da sciamano e quello che scappa portandosi dietro il leggio, spostino l’attenzione dalla gravità della situazione; un golpe non lo è meno solo perché non è riuscito e bisogna chiedersi se il presidente uscente, dopo tutto quello che ha fatto per sovvertire il risultato elettorale, avrebbe davvero rifiutato gli esiti di questa rivolta soprattutto se si fosse riusciti a coinvolgere l’esercito.
Per rispondere a questa domanda in molti hanno ripercorso l’operato di Trump in quelle fatidiche ore: il silenzio iniziale, il rifiuto di richiedere l’intervento della guardia nazionale attivata invece dal vicepresidente Mike Pence ed ovviamente gli interventi sui social, come quello in cui si rivolge ai “patrioti” che in quel momento entravano armati in campidoglio dicendo quanto volesse loro bene.
I due Social Network principali (Twitter e Facebook) interpretando questi post come possibili richiami alla piazza hanno pertanto deciso per la sospensione, ormai permanente, dei profili social del presidente uscente e di conseguenza la sua successiva e probabile morte politica.
Le persone si sono sostanzialmente divise tra chi è a favore di questa decisione e anzi si auspicava in precedenza un intervento del genere da parte delle piattaforme, e chi, contrario invece, evidenzia il problema di avere aziende private che mettono bocca nella vita pubblica democratica.
Chi ha ragione a riguardo?
Hanno ragione tutti perché a questo problema non c’è una soluzione univoca perfetta ed ogni decisione comporta conseguenze molto gravi nel lungo periodo, bisogna quindi decidere quali siano le conseguenze migliori.
Se si tengono le regole lasche è pacifico pensare che ci si possa ritrovare con le rivolte a Capitol Hill, e non solo lì magari, pensate quanto farebbe male all’Italia vedere Montecitorio assaltato dai manifestanti di CasaPound.
D’altronde se si decide di agire conferendo questo potere ai social bisogna accettare le conseguenze di questo mondo digitale che si è talmente modificato da rendere necessario un intervento che, non solo è oltre le normali leggi, ma da parte di un ente che in questo momento è collocato più in alto dei governi stessi; se non sono le piattaforme a prendersi la responsabilità di decidere chi può starne dentro e chi deve starne fuori, visti i risultati che certi comportamenti generano, tutt’ora non si sa chi potrebbe farlo perché effettivamente non esiste.
Chi dovrebbe essere? Chi avrebbe la capacità di intervenire in maniera efficace, veloce e soprattutto imparziale? Probabilmente nessuno.
La domanda che ci si dovrebbe porre è perché si ritiene che Trump e i politici in generale siano obbligati a stare sui social e perché una loro eventuale esclusione, generata in questo caso da comportamenti inappropriati, sia considerata censura.
Pensiamo alla donna più potente d’Europa: Angela Merkel, come ogni politico deve parlare al suo elettorato ed è legata alla ricerca del consenso eppure non ha alcun social, nonostante ciò è una politica popolarissima che se ha da fare dichiarazioni le fa pubblicamente venendo talmente ripresa dai media tradizionali che persino noi in Italia finiamo per parlarne.
Quando viene detto che Trump ha usato i Social Network per finire allo studio ovale non viene detta una cosa sbagliata ma solo una mezza verità, lo ha fatto per scardinare i vecchi media che lo hanno poi popolarizzato; in Italia è successa la stessa cosa con politici che usavano ed usano i social per sganciare “bombe” strumentali ai loro esclusivi interessi politici riprese poi da televisioni e giornali venendo amplificate enormemente e soprattutto ammantate da autorevolezza, premiando di conseguenza questo comportamento in modo che i politici stessi siano incentivati a ripeterlo.
Da tempo si può osservare le grandi piattaforme ritagliarsi un ruolo di guardiani, più incisivi nel caso di Twitter, meno in quello di Facebook che ricorderete affermare davanti al congresso essere i corpi democratici a doversi assumere questa responsabilità e non la piattaforma.
Questo è dovuto ai social stessi che hanno permesso ai peggiori di organizzarsi, fare proselitismo ed inquinare le maggioranze; i complottisti, i suprematisti, i razzisti esisteranno sempre solo che adesso possono presentarsi a platee molto grandi e trovare in figure come il Trump di turno campioni per i propri messaggi.