La “pattum-cultura” mafiosa e la morte di un gatto

«Quando di giorno ti svegli con la “mala” (di cattivo umore, ndr) i gatti cominciano a cascare: questo è un segno, davanti la mia porta “bordello” non ne voglio», così dice, mostrando, armato di fucile, un gatto morto per strada. Il video è stato diffuso dalla polizia a margine della presentazione dell’operazione antimafia “Minecraft” che ha decapitato i nuovi assetti del clan mafioso “Cappello-Bonaccorsi” della provincia di Catania. “Minecraft” risale al 26 gennaio scorso, quando gli agenti della squadra mobile, del Servizio centrale operativo e dei reparti speciali della polizia, coordinati dalla Dda di Catania, hanno decapitato i nuovi assetti del clan. Durante il blitz sono state eseguite perquisizioni che hanno consentito il sequestro di un arsenale, di sostanze stupefacenti e danaro in contante ed è stato scoperto il video.

Il figuro che compare nel video, uno Junior del clan, ha il volto oscurato, ma quello che si intravede basterebbe, se non fossimo di stretto rigore scientifico, a generare una ventata di indulgenza nei riguardi del vecchio Lombroso. Come non evocare Peppino Impastato quando ricorda che la lotta alla mafia si traduce in lotta per la bellezza contro la bruttezza dell’agire mafioso, o, ancora, Paolo Borsellino, che evoca “la bellezza del fresco profumo della libertà” contro il “puzzo morale”? Tanto in pochi frame…

Fatti simili non sono certo nuovi e la mentalità mafiosa, si sa, è intrisa di violenza, crudeltà e arroganza, e a farne le spese non è raro che siano anche appartenenti ad altre specie. Il mostrarsi armato di fucile e vantarsi di gatti che “cominciano a cascare” è la presentazione del proprio tipo (dis)umano; il modo di narrarsi e di rappresentare “di che pasta si è fatti” (sicuramente scaduta, ci viene da dire).

La “Funzione intimidatoria” è una delle funzioni che gli animali, loro malgrado, assumono nella visione e del sistema mafioso: si uccidono animali per colpire le persone. E così, armati di fucile, si avverte che non si vuole essere disturbati, e si fa capire, se ancora ce ne fosse bisogno, chi comanda: le vittime i gatti, il messaggio per tutti. E quale modo migliore per rendere universale il messaggio se non un video, cristallizzazione della propria apoteosi, narrazione apologetica del proprio misero sé?

Fatti accertati in sede giudiziaria ci restituiscono uccisioni di animali per provare quanto si vale: per la “pattum-cultura” mafiosa, se non si è in grado di uccidere un animale vuol dire che non si è in grado di diventare un buon killer. Arrivano nuove armi da collaudare? E cosa c’è di meglio di un gruppo di cani randagi per provare il loro potenziale di fuoco? Così stabilirono alcuni anni fa, nella loro misera e mortifera mente, alcuni mafiosi, ignari di essere intercettati dai carabinieri, i quali, loro malgrado, assistettero in diretta audio al massacro dei randagi.

E in tutto questo, quel losco quanto sinistramente buffo figuro, fatte salve le altre accuse, se sarà riconosciuto colpevole dell’uccisione del gatto rischia al massimo due anni di reclusione. Ennesima dimostrazione di quanto sia necessaria l’approvazione dell’inasprimento delle pene nella riforma della legge 189 – all’esame della Commissione Giustizia del Senato – oggetto della campagna LAV #CHIMALTRATTAPAGA!

Ciro Troiano