La Biodanza e i suoi effetti preventivi, terapeutici, psicologici e fisiologici – Parte prima
Che cosa succederebbe se, invece di costruire solo la nostra vita, avessimo la follia o la saggezza di danzarla? (Roger Garaudy)
Con questo mio articolo sulla Biodanza continuo sulla scia dei precedenti pubblicati sulla rubrica “Religioni e Spiritualità” e che trattano, appunto, di spiritualità ma anche di crescita personale e di sviluppo del potenziale umano. Quindi tenterò di dare una spiegazione quanto più possibile esaustiva ma nel contempo sintetica della complessa teoria scientifica che è alla base della Biodanza (o Danza della vita), la quale è una pratica che si svolge essenzialmente in gruppo ed è guidata da un conduttore/rice esperto/a di Biodanza, che lo diventa solo dopo alcuni anni di studio teorico e pratico in apposite scuole esistenti da parecchi anni in varie parti d’Italia e del mondo. Ovviamente in questo periodo di pandemia le suddette scuole, come ogni altra categoria, devono osservare tutte le precauzioni prescritte dalle norme e dettate dal buon senso. Detto ciò, è indubbio che praticare la Biodanza con regolarità risulta particolarmente utile nella vita quotidiana. Lo era in quella che nel passato prepandemico consideravamo “normale”, e lo è ancor di più adesso, in questa delicata fase di radicale mutamento del nostro stile di vita a cui siamo stati costretti dal Sars-CoV2.
La Biodanza è una pratica ricreativa e divertente, svolta in compagnia di persone che hanno il comune obiettivo della crescita personale, che sanno mettersi in gioco e accettano di esporsi emotivamente, psicologicamente e anche attraverso l’espressione corporea: infatti, la danza è prevalente, da qui il nome di Biodanza. Tutti gli esercizi sono accompagnati da idonee basi musicali e si svolgono singolarmente, in coppia o in gruppo, a seconda degli obiettivi prefissati. Si svolge in un ambiente confortevole, silenzioso e discreto, al riparo da qualsivoglia spettatore che disturberebbe inevitabilmente, per quanto riguardoso ed amichevole, l’armonia e l’intimità del gruppo. Si indossano vestiti comodi, preferibilmente tute sportive, e ci si muove scalzi su di un soffice tappeto. Lo stage di Biodanza dura un week end, dal venerdì sera alla domenica pomeriggio, con cadenza mensile, in strutture attrezzate per la notte e i momenti conviviali. Esiste poi anche “il settimanale”, della durata di un paio di ore, dove consolidare, appunto settimanalmente, le pratiche svolte negli stage mensili e l’intimità del gruppo, le cui dinamiche positive rappresenteranno i prototipi estensibili, possibilmente, in società ai fini del bene collettivo.
La Biodanza dunque, secondo la definizione che ne dà l’ideatore Rolando Toro, psicologo e antropologo cileno: “E’ un sistema di integrazione umana, di rinnovamento organico, di rieducazione affettiva e di riapprendimento delle funzioni originarie della vita”. In pratica, la Biodanza è emozione dell’incontro, è musica, è movimento danzato. E’ un incontro autentico con la propria identità e con gli altri attraverso ronde (libere espressioni e condivisioni emotive del gruppo in cerchio ruotante unito attraverso le mani), esercizi di camminata, di accarezzamento, di accoglienza, di contenimento, di danze, di coppia o singole. E’ movimento danzato, creativo, senza schemi precisi se non quelli indicanti un movimento ritmico o fluido, vitale o rilassato, con musiche appositamente e scientificamente selezionate per indurre particolari vivencia, cioè particolari sperimentazioni del vissuto intensamente qui e ora. E’ anche momento di più o meno profonda regressione, di trance, cioè uno stato di espansione della coscienza, che riporta al primordiale e determina uno stacco dalla propria identità, o coscienza di sé, per far entrare nel Tutto che avvolge, permea e si lascia permeare. In questo stato il biodanzante sente di essere la musica stessa, e s’identifica con essa, con l’ambiente, con le persone che gli stanno intorno, esperendo il ritorno all’indifferenziato (come un neonato che percepisce l’ambiente come il prolungamento del suo corpo privo di confini) e un benessere fisico, una serenità, un amore e una fraternità con il Tutto davvero ineffabili. La regressione non è altro che trascendere i confini del proprio Ego. Il sogno è un esempio naturale di regressione totale, dove il sognatore s’identifica col sogno che, in fondo, altro non è se non un incontro fantastico col proprio inconscio. A livello organico la regressione è la fase del rilassamento, dello stacco dalla presenza vigile, in cui avviene il ricaricamento e il rinnovamento cellulare. Particolarmente efficace ed emozionante è la Biodanza praticata in acqua a temperatura corporea.
Rolando Toro, nell’asse cartesiano delle ascisse del suo Modello Teorico di Biodanza, ha situato ad un estremo l’identità (coscienza di sé e del mondo) e all’altro la regressione (ritorno al primordiale mediante la trance) in un continuum che specifica la loro complementarità e alternanza in continuo movimento. Le vivencia possono stimolare quindi, in base alla musica, l’identità o la regressione, ed esercitano un influsso positivo sugli stati d’animo e le funzioni organiche. Per questo la musica è una parte fondamentale della Biodanza. Nella mitologia greca Orfeo, musicista, cantore e poeta, utilizzò la musica per il suo potere di trasformazione dell’animo umano. Essa, più di qualsiasi altra forma d’arte, è capace di permeare l’identità, di superare qualsiasi filtro razionale e qualsiasi resistenza per giungere direttamente all’Io. La musica, infatti, agisce sull’emisfero cerebrale destro, che è adibito alle facoltà spaziali, geometriche, di percezione artistica e sospende momentaneamente l’attività della parte sinistra, notoriamente specializzata nei processi analitici, razionali, cognitivi, verbali. Infatti, durante la vivencia è buona regola non parlare, per agevolare la funzione dell’emisfero destro. Rolando Toro ha personalmente selezionato e indicato le musiche più adatte per raggiungere determinate vivencia.
Come scriveva il filosofo tedesco Nietzsche: “La musica non è, diversamente da tutte le altre arti, immagine dell’apparenza, o meglio, dell’adeguata oggettività della volontà, bensì è immediatamente immagine della volontà stessa, e rappresenta perciò, rispetto a ogni fisica del mondo, la metafisica, e rispetto a ogni apparenza, la cosa in sé”. Nell’ascoltare la musica dunque giungono nell’animo non tanto le note in sé, bensì il sentimento puro e la volontà stessa che le hanno create, che in esso rivivono e parimenti lo commuovono. Nel danzarla poi si esprimono, attraverso il linguaggio naturale del corpo, lo stesso sentimento, la stessa volontà, la stessa forza primordiale che l’ha ispirata. E il danzare e il rivivere la musica in maniera scientificamente mirata all’ottenimento di un determinato effetto sull’individuo, in un contesto solidale e fraterno in cui poter esprimere creativamente la propria identità più vera e le proprie emozioni più profonde senza timore, è, credo, l’esperienza più gradevole, più profonda e più costruttiva che si possa fare.
Così, per quanto detto sopra, la Biodanza favorisce l’integrazione dei due emisferi, fisiologicamente collegati dal corpo calloso, ma psicologicamente separati da una cultura occidentale prevalentemente razionale, analitica, cognitiva-verbale, riequilibrando lo scompenso che tale cultura comporta. Simile integrazione sviluppa le facoltà creative dell’individuo. Nel tempo inoltre, mediante la stimolazione controllata di cui si è già detto dell’identità e della regressione, dello stato dell’attività e del rilassamento, si può giungere a un buon equilibrio tra questi due estremi, favorendo l’omeostasi, l’equilibrio neurovegetativo, e di conseguenza la riduzione dell’ansia e degli stress negativi.
A proposito di stress è utile esporre brevemente i meccanismi che lo regolano. Nel 1936 Hans Selye, biologo viennese all’università di Montreal (Canada), introdusse il termine di stress, che in inglese significa pressione, sollecitazione, sforzo, per indicare la risposta degli organismi agli stimoli interni o esterni che tendevano a modificarne lo stato di equilibrio, od omeostasi. Egli, lavorando su alcuni topi, si accorse che l’iniezione di diversi preparati ghiandolari provocava nel loro organismo sempre la stessa risposta: l’ingrossamento e l’iperattività della corteccia surrenale, l’atrofia del timo e dei nodi linfatici e ulcere gastrointestinali. Successivamente notò che la stessa risposta si aveva anche in seguito a infezioni, fratture ossee, fatiche pesanti e prolungate, sbalzi di temperatura ambientale, esposizione a raggi X, ecc.. Da ciò ne dedusse che l’organismo reagiva con lo stesso sistema di adattamento ai diversi fattori, chiamati agenti stressanti o stressori. Lo stress è, dunque, la condizione aspecifica e sempre uguale in cui si trova l’organismo quando deve adattarsi a qualunque novità. La reazione allo stress coinvolge tre sistemi: quello endocrino, quello neurovegetativo e quello immunologico. Il sistema endocrino od ormonale è costituito dalle ghiandole a secrezione interna di specifici ormoni. Quello neurovegetativo comprende le due sezioni, ortosimpatico e parasimpatico, che hanno funzioni opposte. La prima, detta anche sistema adrenergico in quanto il suo mediatore chimico è l’adrenalina, eccita l’organismo, comportando l’aumento della frequenza cardiaca, la dilatazione dei bronchi e l’aumento degli atti respiratori per introdurre più ossigeno, l’accelerazione del metabolismo, l’aumento della temperatura interna e il rialzo della pressione. Insomma, il sistema adrenergico prepara l’organismo alla reazione, alla resistenza, alla lotta, oppure alla fuga qualora si rendesse necessario. La seconda sezione invece, detta anche sistema colinergico in quanto il suo mediatore chimico è l’acetilcolina, ha funzioni opposte che riconducono l’organismo al riposo, al recupero, al rinnovamento organico.
Lo svizzero Walter R. Hesse, premio Nobel per la medicina e la fisiologia, riguardo alla naturale alternanza tra i due sistemi ha dimostrato che nell’ipotalamo vi sono due zone distinte: una è chiamata ergotropica (ergon = lavoro + tropos = orientato), la cui stimolazione determina la comparsa di fenomeni regolati dal sistema ortosimpatico; l’altra è chiamata trofotropica (dal greco trophe = nutrimento). L’alternanza tra i due sistemi costituisce la naturale predisposizione dell’organismo all’attività e al necessario riposo. Lo stress entro certi limiti è indispensabile. D’altronde, se esso non esistesse, l’organismo resterebbe inerme nei confronti delle aggressioni, esterne ma anche interne (va ricordato che possono agire da stressori anche gli stimoli di natura psicologica, emotiva e sociale). In fondo lo stress, come amava dire Hans Selye, in un sistema in equilibrio è il sale della vita, la carica che ci permette di andare avanti e di risolvere le continue sfide che ci propone la quotidianità e la vita in generale. Per contro, è ugualmente importante che dopo uno stress più o meno prolungato arrivi anche la fase di rilassamento, di riposo, affinché le cellule dell’organismo abbiano la possibilità di ricaricarsi. Uno stato di buona salute ruota anche attorno alla complementarità di queste due sezioni, altrimenti si va incontro a uno squilibrio neurovegetativo… [continua]
Angelo Lo Verme