Mentre l’occidente dorme, la Cina prepara il futuro

Sembra che il pingue Occidente abbia rallentato la sua evoluzione sociale, economica, politica; in una parola, una stasi culturale. Sarà forse il benessere, la mancanza di stimoli, l’invecchiamento della popolazione. Chissà. Per fare un paragone, forse ardito, ma rappresenta bene la analogia, l’Occidente di oggi è simile a quegli eredi, di imprenditori di successo instancabili e creativi, che, lentamente, incapaci e satolli, consumano quanto costruito dai padri. La ricchezza costruita nella seconda metà del secolo scorso, dopo le due guerre mondiali, si sta dissipando inesorabilmente.

Il rallentamento dell’Occidente si misura visibilmente a fronte del dinamismo mostrato dal resto de mondo. Ricordate il BRICS? L’acronimo per individuare i cinque paesi (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) con grandi potenziali di sviluppo per la numerosità della popolazione, per la vastità del territorio, per l’abbondanza delle risorse naturali? Ebbene, fra alti e bassi, in misura diversa, lo sviluppo lo mostrano.

Fra tutti spicca la Cina, dittatoriale e sedicente comunista, che sta diventando, e presto lo diventerà, la potenza economica di riferimento capace di cambiare gli equilibri geopolitici del pianeta. 

Il suo Mercato è l’intero globo dagli Stati Uniti all’Europa, all’Africa. I suoi obiettivi, la industrializzazione del territorio e il diventare il centro globale della manifattura, senza tralasciare la Ricerca e la Finanza.  Mentre l’Occidente, impegnato in beghe che dissolvono energie, mostra disattenzione a quel “pericolo giallo” definito così da qualcuno già all’inizio del XX secolo. 

Il conflitto, ad oggi, è riservato al dipolo Cina – USA, Europa assente. Il 30 novembre scorso, la Cina ha firmato con la UE l’accordo CAI (Comprehensive Agreement on Investment) a garanzia di una presunta equipollenza fra imprese cinesi ed europee. Questo accordo, salutato come un successo dalla UE, è, in verità, per la Cina, solo un messaggio geopolitico agli USA a dimostrazione dell’interesse cinese per l’Europa. Infatti, esso riguarda solo il settore dei servizi ma, bisogna sapere, controlli e controversie fra Stati non riguardano il settore dei servizi.

Il focus del patto avrebbe dovuto essere il settore manifatturiero che, tuttavia, è rimasto del tutto fuori dall’accordo: la Cina, come sappiamo, punta al settore manifatturiero, proprio il settore nel quale le aziende europee investono in quel paese, esclusivamente.

Basta questo per rendersi conto che si ha a che fare con un competitor che ragiona per obiettivi e con pragmatismo.

Purtroppo, l’Europa è dormiente; il competitor sempre più forte; l’accordo inutilizzabile.  Intanto, però, la Cina ha piantato un chiodo. Un altro accordo, il cui acronimo è RCEP (Regional Comprehensive Economic Partnership), d’iniziativa cinese e molto più interessante, è stato stipulato fra 15 paesi,

Hanno firmato Cina, Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, Vietnam. È un accordo di libero scambio non solo commerciale, il più esteso al mondo: un terzo della popolazione e del PIL mondiale. Con l’obiettivo scontato di rafforzare le economie, l’accordo tratta di tariffe, catene di approvvigionamento, regole doganali, commercio elettronico, trattamento dati personali, trasparenza, trading. Ma, soprattutto, impone di limitare la partecipazione straniera (leggi USA).

I partner, dal Giappone all’Australia, dalla Corea del Sud al Vietnam, sono entusiasti ed hanno dimenticato i loro gravi dissidi. Solo l’India ha sospeso la decisione; ma fino a quando?

Ci vuol poco ad immaginare cosa si stia preparando.

Questo blocco ha una grande capacità di sviluppo e, soprattutto, ha una grande predisposizione alla accelerazione: il centro dello sviluppo globale si sta spostando in Oriente e, specificatamente, in Cina. Il conflitto Cina – USA ha già un perdente: forse, l’Europa è ora che si svegli. Tuttavia, che l’Europa si svegli ci sono pochissime speranze. Troppi fili rossi legano i Paesi europei e la Cina, in testa Germania e Italia.

Ad esempio, delle esportazioni UE in Cina, la Germania è il primo esportatore con circa il 44% (95 mld nel 2018); l’Italia solo circa i 2%.

Ma il nostro Paese ha altri interessi con la Cina come le mascherine fasulle di Arcuri, i ventilatori fuori norma di Borrelli, le strane simpatie dei 5S e del PD, la strategia della chiusura ossessiva di Speranza, benché senza un piano pandemico.

Ne vedremo delle belle.

Antonio Vox – Presidente “Sistema Paese” – Economia Reale & Società Civile