Le conseguenze della mondializzazione

Se la comunicazione via internet è globale, se le produzioni massive arrivano ovunque, se le idee e le politiche si applicano indistintamente in ogni dove, se la moneta passa liberamente da una parte all’altra del globo, se la lingua è ormai quella imposta dalla cibernetica, se le tecniche sono le stesse in ogni parte, se il prezzo del petrolio e di ogni altra cosa è lo stesso dappertutto, se anche le malattie e le loro cure sono uniche per tutti anche la misura delle tue azioni è la stessa in ogni angolo del globo ed è la efficienza. La efficienza è una misura che equipara tutti come la morte e come quest’ultima rende inutile la vita.

Per un mondialista la tradizione rispettata per esempio in una comunità indiana è solo un aspetto pittoresco come lo è un’altra tradizione di una qualunque tribù dell’America del sud o di un villaggio del nord Europa. Non capendone nulla e non conoscendo le genesi di quelle usanze le si derubrica in espressione di stupidità o di primitività fatta di ignoranza e superstizione. Tutte queste caleidoscopiche rappresentazioni delle peculiarità locali come i dialetti o la cucina, le venerazioni come le abitudini sono retrocesse a livello di orpello privo di senso di fronte al nuovo Dio che è la efficienza, efficienza che assieme al danaro e alla tecnologia formano la nuova Trinità: tre elementi che sono integrati in un’unica Entità. Tre elementi che in realtà sono privi di basi completamente ma vengono ritenuti acriticamente fondamentali.

È ovvio che anche le religioni divengono così espressioni residuali di antiche credenze e ritualità da derubricare in “oppio dei popoli” (come già è stato detto), una patologia di cui liberarsi, dabbenaggine di popoli da redimere e affrancare. Affrancamento che la nuova religione della efficienza planetaria pone in essere in maniera soft, cioè non esplicita, ma che diviene una specie di pulizia etnica di tutte le culture non mondialiste ed efficientiste. Un po’ come accadde per gli indiani d’America che furono sterminati perché non capiti, ritenuti selvaggi, (quasi subumani) e perché la loro cultura non era proiettata al futuro come si conveniva a quell’epoca. Era l’epoca in cui la modernità e la tecnica era ritenuta meglio e migliorativa del passato. La ferrovia come le moderne armi mal si attagliavano con i modelli di vita dei nativi che quindi furono sterminati. La rivoluzione industriale negli Stati Uniti seppellì le precedenti culture ponendo in essere un genocidio; lo stesso genocidio delle culture e quindi ci auguriamo non sanguinario, che, su scala planetaria, il nuovo verbo mondialista vorrebbe attuare oggi a danno delle vecchie costumanze. Anche la proprietà privata diviene così un orpello.