Sarajevo, 28 giugno 1914, se quel giorno. . .

Passeggiando per i viali che costeggiano il fiume Miljacka si giunge al Ponte Latino di Sarajevo, quello dell’attentato agli arciduchi Francesco Ferdinando e Sofia, eredi al trono austro-ungarico, uccisi da Gavrilo Princip, un aderente all’ideale di federazione di tutti gli slavi meridionali, il 28 giugno 1914. Oggi il ponte, che in passato si è chiamato Ponte Princip dal nome dell’attentatore, è attraversato da pedoni bosniaci e dai turisti che si riversavano nella Bascarsija, il centro storico di epoca ottomana. Il traffico sul lungofiume è intenso, occorre fermarsi e riflettere che in quel luogo la storia del Novecento ha attraversato la sua cruna dell’ago.

L’attenzione inevitabilmente cade sulla lapide posta nel luogo dove si trovava l’attentatore al momento dello sparo e al museo retrostante legato al fatto storico.

Se la pistola di Princip non avesse sparato, come del resto avevano già fallito quel giorno altri congiurati, quali scenari si sarebbero profilati? Per comprendere il significato di quel gesto e le conseguenze che tuttora gravano sui Balcani Occidentali abbiamo rivolto alcune domande al professor Valerio Vetta, docente di Storia Contemporanea presso il dipartimento di Storia, Società e Studi sull’Uomo dell’Università del Salento.

1Professor Vetta, se la pistola di Gavrilo Princip non avesse sparato, la Prima Guerra Mondiale sarebbe scoppiata ugualmente? 

L’attentato di Sarajevo fu il detonatore di processi di lungo periodo, non riconducibili soltanto alla questione dei Balcani, dove i conflitti locali fra identità etnico-religiose s’intrecciavano con le strategie imperialistiche di Austria-Ungheria, della Russia zarista e del sultanato ottomano. La Grande Guerra fu il risultato di cambiamenti epocali, correlati all’avvento della società industriale e alla formazione degli Stati nazionali.

2. Come si sarebbe evoluta la storia del Novecento?

Gli eventi di questo secolo sono stati espressione di due processi: la modernizzazione economica e sociale che ha accompagnato la transizione alla società di massa e la globalizzazione. All’interno di questa cornice s’inseriscono i conflitti che lo hanno percorso: quelli fra Stati e quelli fra democratizzazione e reazionarismo.

3. Quale assetto geopolitico avrebbero assunto i Balcani occidentali di oggi?

L’assetto geopolitico attuale è la normalizzazione della transizione vissuta dai Balcani nel Novecento ed è conseguenza delle continuità, delle persistenze che si riscontrano nella regione lungo il secolo. È utile, a tal proposito, osservare le analogie che intercorrono fra le cause delle guerre balcaniche del 1912-1913 e quelle dei conflitti che segnarono la dissoluzione della Jugoslavia nei primi anni Novanta.

4. Professore, Lei si è impegnato nel progetto “Puglia 14-18” per le iniziative culturali per il centenario della Grande Guerra. Cosa accadde in Puglia all’indomani del 24 maggio 1915?

I porti pugliesi cominciarono a essere bombardati lo stesso giorno dell’ingresso dell’Italia nel conflitto. La memoria collettiva nazionale localizza la Grande Guerra sul fronte terrestre: nelle trincee, sulla linea del Piave, a Caporetto, a Vittorio Veneto. È stata invece dimenticata la frontiera marittima e il ruolo di avamposto che in essa ricoprì la Puglia. Ruolo celebrato, fra l’altro, dal Monumento al Marinaio d’Italia a Brindisi, città insignita della Croce al Valor Militare.

5. Quale fu l’impatto complessivo della guerra sulla Puglia?

Il progetto “Puglia 14-18”, al quale hanno collaborato saperi disciplinari diversi, ha rappresentato un momento di rilettura di vicende e trasformazioni che interessarono territori e comunità locali. Fra le numerose questioni affrontate, metterei in evidenza due aspetti. Anzitutto l’attenzione agli elementi di modernizzazione connessi al conflitto. Il secondo riguarda la nazionalizzazione delle masse. Nei centri pugliesi, infatti, la logistica militare e l’accoglienza dei profughi trentini, friulani e veneti, svolsero una funzione non meno importante delle trincee nella costruzione di una comunità nazionale.

Vincenzo Legrottaglie