Rubrica: oltre il recinto – Il parto
Madre,
quanti disturbi
per l’attesa del tuo bambino:
mal di schiena, vomito, costipazione.
Ti sei anche risentita contro la gravidanza
e contro tuo marito.
Hai avuto timore
di dare alla luce un bambino anormale.
Hai assaporato poco la gioia
di attendere una nuova vita.
Finalmente in clinica.
L’ambiente è freddo.
Le infermiere sono capaci
ma troppo indaffarate per occuparsi di te.
Ascolti i lamenti di altre donne.
Ti giunge notizia di qualche parto finito male.
E se accadesse anche a te!
Tutti dicono che bisogna essere coraggiose
e sopportare.
Stringi i denti.
Serri le labbbra.
Incurvi le spalle.
I pugni chiusi.
Il respiro trattenuto.
Premi le gambe.
Irrigidisci la pelvi.
L’utero è contratto
e il bambino, in alto, nell’utero
non può muoversi.
Dopo qualche giorno di dolori,
sei esausta.
Si fa uso di narcotici,
per darti un po’ di riposo.
E questo stordisce anche il bambino.
Quando ti riprendi
ti vengono dati altri medicinali
per far riprendere le contrazioni.
Alla fine il parto.
Il bambino cerca di muoversi
anestetizzato, pallido, mezzo morto.
Tuo figlio viene subito superato da te.
Lo pesano su una fredda bilancia
e lo parcheggiano in una culla.
Senza calore, senza contatto.
Anche tu, madre,
sei riportata in una stanza.
Sola.
La più grande esperienza emotiva della tua vita,
ridotta così.
Madre
forse non avrai latte per due o tre giorni.
C’è da meravigliarsi?
Anche il bambino stordito e malmenato,
non è in grado di godere
il calore del tuo seno.
Che fare?
Ai margini del gran baccano
si comincia a comprendere:
Ora ascoltami.
Con fiducia.
Madre,
le doglie continue e dolorose,
sono soltanto l’effetto
delle tue paure.
Hai la mascella serrata.
Respira con la bocca,
lentamente.
Provaci.
Ciò elimina o riduce la rigidità.
Le tue spalle.
Occorre scioglierle.
Salvatore Porcelli