Terrore a Kabul

Dopo gli attentati di Kabul si è tornato a parlare della temibile organizzazione terroristica comunemente nota come Isis. Acronimo che significa Islamic State of Iraq and Syria, o, ancora comunemente, Stato islamico. Considerato che alcune testate giornalistiche italiane e qualche leader politico, sempre italiano, confondono Talebani e Isis, è meglio prima fare un po’ di chiarezza. Più precisamente adesso in Afghanistan si parla di Is-K o, impropriamente di Isis-K, che è l’organizzazione composta da circa 2.000 adepti, nemica dei Talebani e quindi niente affatto la stessa cosa. L’acronimo Is-K significa Stato Islamico del Khorasan che è una provincia situata nell’est dell’Afghanistan. Essa è la propaggine afghana jihadista estrema che vuole stabilire il Califfato appunto in questa provincia e dargli una dimensione internazionalista (si veda il significato di califfato e anche quello di emirato).

  L’Is-K è anche nemica di Al Qaida, e considerando che in Afghanistan vi sono almeno 11 gruppi terroristici che possono dare la stura a sanguinose guerre civili potenzialmente destabilizzanti circa il futuro assetto politico e istituzionale di questo martoriato Paese, si capisce quanto ancora tutto ciò ci riguarda da vicino. La futura sicurezza dell’Occidente relativa al terrorismo islamico dipende anche dagli accordi che si faranno da qui in avanti. Ora si spera che tutti gli sforzi diplomatici siano improntati soltanto a saggezza e a volontà di pace da parte dell’Occidente. Comprendo la quasi utopia di tale speranza, ma dal compiersi o meno di essa dipenderanno i prossimi decenni di rapporti di pace tra mondo islamico e Occidente.  

  Intanto, quello che era stato tanto temuto, previsto e annunciato dalle agenzie di intelligence dopo il ritiro dell’esercito americano dall’Afghanistan avvenuto il 15 agosto scorso, alla fine si è avverato senza che si sia potuta attuare nessuna  contromisura per impedirlo. A distanza di poco più di mezz’ora, nel pomeriggio di giovedì 26 scorso, due kamikaze appartenenti all’Is-K si sono fatti esplodere tra la folla a Kabul. Il primo attentato suicida è avvenuto fuori dell’Abbey Gate dell’aeroporto internazionale, vicino al checkpoint britannico, seguito da una fitta sparatoria; il secondo all’esterno del The Barone Hotel, dove vi alloggiano le truppe e i giornalisti britannici. In totale ci sono stati 170 morti e oltre 200 feriti, tra afghani e soldati Usa (13). Come ritorsione per il vile attentato, il Presidente Joe Biden ha autorizzato un bombardamento tramite drone eseguito nella provincia di Nangahar sabato 28, nel quale sono rimasti uccisi due leader dell’Is-K, i cui nomi non sono stati resi noti.  

  I repubblicani americani addossano la colpa del ritiro delle truppe, degli attentati e di quant’altro accadrà in Afghanistan al Presidente Biden. Egli però sta rispettando l’accordo bilaterale firmato a Doha, capitale del Qatar, il 29 febbraio 2020 dall’allora Segretario di Stato Mike Pompeo e il capo dei Talebani, il mullah Abdul Ghani Baradar, scarcerato dal Pakistan appositamente per volere stesso degli americani. Già Biden ha prorogato la data del ritiro delle truppe americane dall’01 maggio al 31 agosto; di più i talebani non hanno concesso. Non dimentichiamo che dopo 20 anni di occupazione occidentale gli sconfitti restano i Paesi Nato, per cui lo spazio di manovra rimane limitato. Le statistiche comunque mostrano che i ritiri di truppe occidentali dai Paesi occupati non sono una calamità, anzi, tutt’altro. Dopo i ritiri dall’Iraq e dalla Siria, gli attentati su suolo occidentale sono diminuiti più del 90 %. Questo mi sembra l’unico dato buono e certo dell’attuale caos afghano, ma come già detto prima, l’Occidente dovrà fare la sua parte per garantire i diritti degli afghani e delle afghane e la sicurezza sul proprio territorio, attraverso accordi preventivi e non più guerre.

  Gli Afghan war Logs (Registri della guerra in Afghanistan) pubblicati il 25 luglio 2010 da WikiLeaks, l’organizzazione co-fondata da Julian Assange, invece, mostrano dati raccapriccianti riguardo al comportamento dell’esercito USA relativo a sei anni di guerra in Afghanistan: dal 2004 al 2009, cioè sugli anni del secondo mandato di George W. Bush e sul primo anno di quello di Barack Obama. La pubblicazione fece adirare parecchio il Pentagono ed è costata la serenità, la salute e la libertà ad Assange, attualmente detenuto nel Regno Unito nella “HM Prison Belmarsh” (definita una sorta di Guantanamo britannica) per violazione dei termini della libertà su cauzione relativa a controverse accuse di stupro dalla Svezia, poi archiviate, e attualmente in attesa di estradizione negli Stati Uniti per l’accusa di cospirazione e spionaggio. Estradizione già negata nel gennaio di quest’anno per motivi di salute mentale di Assange.

  Gli Afghan war Logs sono dei veri e propri diari di guerra, composti da 76.910 files corrispondenti ad altrettante relazioni giornaliere redatte sinteticamente e in uno stretto gergo militare dai soldati americani sul campo. Sinteticamente ma riportando con grande precisione la data, l’ora e la posizione circa gli scontri, gli incidenti, i morti, i feriti, i prigionieri e le stragi di civili. Come tutti i diari, anche questi rivelano segreti e verità inconfessabili. L’insieme di questa grande massa di dati forniva al Pentagono una visione globale dell’andamento della guerra e gli serviva per studiare nuovi piani operativi e per fare analisi di intelligence. Attraverso questi racconti purtroppo si possono annoverare morti e feriti civili che nei dati ufficiali non risultavano computati. Vi si scoprono le missioni segrete della Task Force 373, un’unità di élite che rispondeva direttamente agli ordini del Pentagono inviata per rapire o uccidere, in maniera extragiudiziale, combattenti di spicco di Al-Qaeda e dei Talebani. Missioni che, come al solito, comportavano errori, gli eufemistici danni collaterali, che facevano stragi anche di donne e bambini. Cosa che alimentava il risentimento degli afghani nei confronti dell’esercito USA. Insomma, essi mostrano le atrocità di una guerra dove gli amici e i nemici si confondono nella vaghezza, o addirittura inconsapevolezza, anche da parte dei vertici sul campo, degli scopi reali di una guerra che appariva infinita. Adesso questa è finita. Si avrà la saggezza di non cominciarne un’altra?

Angelo Lo Verme