Commemorare… è necessario

L’Occidente è dominato, com’è noto, da religioni che pongono la morte (e ciò che a essa conseguirebbe, ovviamente, dal loro punto di vista, per i non credenti molto discutibile) al centro dell’attenzione dei viventi. In conseguenza esso vive le commemorazioni di eventi tragici per la storia degli uomini con un’insana mania che fa sospettare l’esistenza di una vera e propria voluttà della morte, di cui è intrisa, peraltro, molta letteratura  europea.

Ogni giorno del calendario è buono per ricordare i defunti di una strage, di un eccidio, di un massacro, di uno sterminio, di un atto di terrorismo piuttosto clamoroso, di una guerra, di una pandemia (soprattutto peste), di un incidente di varia natura, purché di gigantesche proporzioni e via dicendo.

La società occidentale è diventata la sede privilegiata del lutto permanente, del pianto (spesso solo simulato) continuo e ininterrotto per moltissimi giorni dell’anno, della commozione che i mass media aiutano a essere dilagante e coinvolgente, della presenza di compunte autorità, funereamente vestite, sui luoghi del (presunto) dolore.

La gente assiste impassibile a un incrociarsi quasi quotidiano  di corone funebri di fiori depositate con lenta solennità (in una con i baci alle proprie mani, usate come mezzi di trasmissione del gesto affettuoso), davanti  a freddi marmi, fosse ricoperte di pietre, statue di marmisti pessimi emuli di scultori famosi, croci di ferro di varie grandezze, arrugginite con il tempo, e quant’altro di cimiteriale il pessimo gusto dei costruttori di camposanti ha saputo inventare nel corso di duemila anni di voluta contrizione per l’umana sofferenza.

Ovviamente tali commosse celebrazioni stendono un velo pietoso sulle cause e sulle responsabilità umane degli eventi luttuosi riproposti con ossessiva ripetitività delle immagini ritratte a suo tempo con dispendio di mezzi economici elargiti, senza risparmio, dai proprietari del sistema giornalistico e radiotelevisivo.

E se taluno, unicamente on line, azzarda ipotesi che individuano i “signori della guerra” nei fabbricanti di armi e nel sistema bancario che si alimenta con le distruzioni ritratte dai mass media di loro proprietà, gli anatemi più spietati sono utilizzati contro chi turba la sacertà del momento.

Luigi Mazzella