Donne vittime di violenza: la “fase di accoglienza”
Occorre considerare che, per le donne vittime di violenza sessuale, la presa di coscienza della propria condizione necessita a volte di un percorso complesso ed incerto. Le resistenze alla denuncia possono riguardare aspetti molto tangibili e concreti (imbarazzo, vergogna, ritenersi colpevoli e non vittime, timore di ritorsioni, ecc.), oppure, soprattutto in ambito familiare e relazionale, avere motivazioni legate alle dinamiche proprie della relazione stessa, che, sebbene insana, ha comunque caratterizzato il vissuto di due persone con fasi alterne e che nella vittima possono alimentare la speranza che le cose possano tornare come prima e che si aggiustino da sole.
Il primo contatto della vittima in caserma è un momento di particolare rilevanza. Le modalità di accoglienza potranno influire sulla probabilità che la persona offesa formalizzi una denuncia/querela.
Nello specifico, il militare di servizio alla caserma, nel prendere immediatamente atto dell’avvenuta violenza sessuale, deve: assecondare la richiesta della p.o. (= parte offesa), qualora una persona mostri difficoltà o imbarazzo nel comunicare in presenza di altre persone la propria problematica e richieda un colloquio privato; informare il Comandante/Ufficiale di P.G. addetto alla ricezione delle denunce/querele al fine di accoglierla per la formalizzazione della querela; in caso di assenza di un ufficiale di P.G., non si deve allontanare mai la vittima senza aver valutato la gravità della situazione.
Una volta di fronte all’investigatore, la persona offesa può avere difficoltà a raccontare e ricostruire la dinamica dell’episodio o di più episodi, offrendo conseguentemente un resoconto confuso e non sempre coerente. Ciò può dipendere dalla sua indecisione oppure essere conseguenza di vissuti perduranti nel tempo e pertanto difficilmente distinguibili. Può inoltre avere comprensibili reazioni emotive quali il pianto o la paura, la cui assenza non deve però portare l’investigatore a delle inferenze sulla veridicità del riferito e sulla sua congruenza con lo stato emotivo apparente. Alcune vittime, possono manifestare sintomi di un’ansia generalizzata (es.: irrequietezza, tensione, difficoltà a concentrarsi, vuoti di memoria, irritabilità), tali da renderle sempre più fragili emotivamente ed incapaci di attivarsi in modo risolutivo.
L’esigenza della vittima in questi casi è quella di sentirsi accolta ovvero di trovarsi in un contesto sicuro e non giudicante. È quindi fondamentale ascoltare la vittima senza sminuire o enfatizzare il suo vissuto, adottando tutti gli accorgimenti per evitare un’amplificazione o una riedizione della sofferenza già patita, esponendo la donna ad una cosiddetta “vittimizzazione secondaria”.
L’investigatore, acquisita la notizia di reato, dovrà immediatamente avvisare il P.M. di turno e procedere al repertamento degli indumenti indossati dalla vittima al momento della violenza, nonché dovrà effettuare ogni altro rilievo o prelievo ritenuto utile. Tutto ciò che verrà repertato dovrà essere ben conservato e messo a disposizione dell’Autorità Giudiziaria per i successivi accertamenti tecnico-scientifici, nella quasi totalità dei casi condotti dalla stessa Polizia Giudiziaria. L’ufficiale di P.G. si occuperà inoltre di far accompagnare la vittima presso il Pronto Soccorso per gli accertamenti medici, assicurandosi dell’applicazione delle linee guida nazionali in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittima di violenza.
Occorre inoltre ascoltare la vittima da sola. La presenza di altre persone potrebbe limitarne la capacità di espressione, garantendole la massima riservatezza. Inoltre, si deve chiedere il supporto di un interprete o di un mediatore culturale, nel caso in cui la vittima sia straniera e non comprenda e/o non parli correttamente la lingua italiana. L’interprete, nominato quale ausiliario di P.G., non deve però essere un parente o un amico della vittima, né tanto meno una persona coinvolta nella vicenda.
È poi importante instaurare con la vittima un rapporto di fiducia. Ciò può favorire il dialogo per aiutarla ad acquisire sicurezza e a non aver ripensamenti e incertezze che spesso caratterizzano il percorso di emersione in particolare da un vissuto di violenza. Una condotta attenta e sollecita consente di attenuare il danno psicologico subito dalla vittima. A tal proposito appare importante dare alla vittima un riconoscimento emozionale e tranquillizzarla, al fine di normalizzare le sue emozioni, prediligendo quale ascoltatore un investigatore dello stesso sesso della vittima per agevolarne l’audizione.
Infine, prima di iniziare la fase di ricezione della querela, prospettare alla p.o. l’esigenza di registrare con una videocamera o con un registratore. La registrazione deve essere svolta almeno in modalità audio, anche con dispositivi di facile reperibilità. Ciò consente una perfetta cristallizzazione dell’atto di P.G. e dello stato psicofisico della parte offesa. Nel caso di lesioni recenti, l’operatore deve dare atto di ciò che è nella sua diretta osservazione, documentandolo anche con fotografie.
Le attività susseguenti alla denuncia/querela, con tutte le “azioni” che compongono la “manovra investigativa”, come già accennato, rientrano nel patrimonio tecnico professionale e soprattutto “riservato” di ciascun ufficiale di Polizia Giudiziaria.
Paolo Vincenzoni
(Fonte: Annales Doctrinae et iurisprudentiae canonicae XI – La Sessualità nella riflessione teologica nella proposta medica e nella dimensione giuridica – Libreria Editrice Vaticana)
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