Mondializzare le perdite e privatizzare i guadagni

Sono decenni che i maitre à penser ci ripetono che la mondializzazione è cosa buona per tutti. Lo è per il capitale che può andare dove più guadagna, per gli imprenditori che possono vendere e comprare dove più gli conviene, per i lavoratori che possono scegliere il datore di lavoro, anche lontanissimo, che più gli aggrada.
Quando si cambia di anno si fanno bilanci e previsioni; così a inizio 2022 possiamo provare a chiederci se i vantaggi della mondializzazione sono stati prevalenti.
La libertà maggiore negli spostamenti di capitali non ha riguardato i risparmi della gente comune (ma solo dei finanzieri speculatori) che non solo continua a non poter inviare i propri soldi all’estero ma, se lo fa, incappa in accertamenti amministrativi e fiscali che si pensava fossero materia di antimafia e anti corruzione. Lo spostamento di lavoratori ha portato allo svuotamento di alcune aree specie del centro e sud Italia le cui menti migliori prive di lavoro sono state spinte ad andare  a rimpinguare Pil e gettito delle aree più ricche del pianeta. Gli imprenditori hanno pensato di produrre o far produrre fette significative delle proprie produzioni in parti del mondo più friendy verso le imprese sia sotto l’aspetto burocratico fiscale, sia sotto quello del costo della manodopera. Il risultato è che -per esempio- esistono ristoranti di proprietà di italiani che assumono italiani ma che si trovano a Londra: cioè si è formata fuori dalla Madrepatria una economia italiana vera e propria che fa concorrenza a quelli che sono rimasti qui. Ma la mondializzazione ha portato anche alla applicazione di regole fatte altrove come le regole bancarie o i prezzi e  i tassi di interesse: quindi, per esempio, se in Germania la ricchezza è eccessiva (anche per merito degli italiani che lavorano lì) e quindi il prezzo del petrolio o l’inflazione salgono si devono aumentare i tassi di interesse e le bollette della luce anche in Campania o Basilicata che hanno visto svuotarsi le proprie campagne e le proprie città!
Quindi è un disastro? No, ancora peggio! Abbiamo anche scoperto che vi sono posti del globo che sviluppano certi virus e quindi in un baleno li ritrovi in ogni parte colpendo naturalmente prima e maggiormente le parti più deboli della popolazione. Malattie sconosciute che devastano le eco nomie e le popolazioni di tutto il mondo.
Se lo avessimo saputo avremmo consentito la mondializzazione? Coloro che ci hanno messo in queste condizioni come mai sono ancora lì?
Ma si possono limitare un po’ queste conseguenze nefaste? No, perché le imprese maggiori (che sono state le primarie sponsorizzatrici di questa modalità di convivenza internazionale) ormai sono così dipendenti dai vari mercati e così legate a questa maniera “liberale” di fare economia che chiuderebbero in un baleno se cambiasse qualcosa; cioè, come è stato detto dalle sinistre di tutto il mondo, sono “troppo grandi per fallire”.
Quindi se il bilancio -che possiamo dire essere stato radioso per i grandi e disastroso per i piccoli e la gente comune- è questo le prospettive sono ancora peggiori fatte cioè di spostamenti ulteriori di popolazione dalle zone meno floride a quelle ricche e di malattie anche esotiche che imperverseranno liberamente attraverso tutti i Continenti.
È un esempio di scuola come una idea (che altro non è che parole messe in fila per esprimere un concetto) possa fare danni materiali incalcolabili e come sia pericoloso affidarsi alle idee di altri che non hanno i millenni di sapienza che abbiamo noi.
Ci converrà tornare ad essere i filosofi del mondo.

Canio Trione