Il pelo nell’uovo

Riflettendo sulla pronuncia del 16 febbraio scorso della Corte Costituzionale relativa agli otto quesiti referendari (giustizia, eutanasia e cannabis) e alla preventiva discolpa da parte del suo neo Presidente Giuliano Amato alle possibili accuse di avere voluto trovare il pelo nell’uovo riguardo a quelli bocciati, per contrapposta associazione di idee mi viene in mente l’evangelica frase che dovutamente parafrasata riassumerei in: “Non vedere la trave dentro alcune cose e accorgersi della pagliuzza dentro altre”.

  La pronuncia arriva un giorno prima del 30° anniversario di tangentopoli. Il 17 febbraio del 1992, infatti, prese avvio la stagione di Mani Pulite con l’arresto a Milano di Mario Chiesa, direttore del Pio Albergo Trivulzio, sorpreso mentre intascava una tangente per favorire i lavori di ristrutturazione. La magistratura, fino ad allora non si era mai occupata di indagare la politica che il 5 marzo 1993 tentò di correre ai ripari (ministro della giustizia Giovanni Conso del governo Amato) confezionando un progetto di depenalizzazione del reato di finanziamento illecito, etichettato dalla stampa di allora come il Colpo di Spugna. Altro che pelo nell’uovo! Una vera trave nell’occhio! In seguito alla minaccia dei magistarti del pool di Mani Pulite di essere trasferiti ad altri incarichi, il decreto venne ritirato.

  Ora, dei sei quesiti sulla giustizia promossi dalla Lega e dai Radicali, solo uno è stato bocciato, quello sulla responsabilità civile del giudice. Altrimenti, in caso di ammissione e di vittoria dei sì, avrebbe consentito a chi ritiene di essere stato condannato ingiustamente, di rivalersi direttamente sul giudice che non avrebbe potuto più esprimere serenamente una sentenza, il quale, nel timore di dovere risarcire direttamente il condannato, avrebbe potuto propendere per una maggiore clemenza verso l’imputato più potente.Sono stati invece accolti:

1) quello sull’abolizione della Legge Severino, che sancisce l’incandidabilità, la ineleggibilità e la decadenza di parlamentari, di membri del governo, di sindaci e amministratori locali in caso di condanna definitiva per reati gravi come mafia, terrorismo e corruzione. In caso di vittoria dei sì, sarebbe un lasciapassare per i rei dentro la politica e per i condannati in primo grado dentro le amministrazioni locali.

2) Quello sul carcere preventivo, che in caso di vittoria cancellerebbe una parte dell’articolo 274 del Codice penale e quindi lascerebbe tantissimi imputati a rischio di reiterazione del reato a piede libero, a meno che non esista il rischio di fuga o di inquinamento delle prove.

3) Quello sulla separazione delle carriere dei magistrati, un tema molto scottante che ha sostenitori e oppositori illustri. In sintesi, i primi sostengono che le due carriere sono diverse e quindi diverse sono le competenze richieste e diversi devono essere gli organi gli ordinamenti che li regolano. Rimanendo sotto lo stesso ordinamento, non verrebbe garantita la terzietà dei giudici rispetto ai pubblici ministeri. I contrari sostengono che il rischio invece è quello di privare il pubblico ministero della indispensabile indipendenza dal Governo e di non garantire gli interessi della collettività.

4) Quello sulla valutazione dei magistrati, effettuata dai consigli giudiziari composti da magistrati, avvocati e professori universitari in materie giuridiche, la cosiddetta componente laica. In caso di vittoria dei sì, i magistrati potranno essere valutati anche dalla componente non laica, quindi anche dagli avvocati difensori delle vittime.

5) Infine, quello sulle candidature dei consiglieri togati del Csm, che per la loro elezione, in caso di vittoria dei sì, non servirebbe più alcuna raccolta di firme. In tal modo si eviterebbe la forte influenza delle correnti nelle decisioni del Csm giacché ogni magistrato potrebbe candidarsi rimettendosi soltanto al voto dei consiglieri che premierebbero le sue qualità personali e professionali e non l’appartenenza ad una corrente. Tranne quest’ultimo, a parere di molti, gli altri quattro quesiti referendari sarebbero peggiorativi della Giustizia.   

  Sono stati invece bocciati dalla consulta i quesiti sull’eutanasia legale e sulla liberalizzazione della cannabis. Il comitato promotore per bocca di Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, dice che la Consulta avrebbe manipolato la realtà e che la decisione è solo politica e non scaturente da un’errata scrittura del quesito referendario: «La parola “coltiva” fa riferimento alle piante: l’unica pianta che è possibile consumare come stupefacente è la cannabis. Si possono coltivare – certo con grandi difficoltà e in determinate regioni del mondo – papavero e coca ma per consumarle come stupefacenti occorre trasformarle: la “produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione” sarebbero rimaste punite nel comma 1 dell’articolo 73. Questo non avrebbe comportato alcuna violazione degli obblighi internazionali». Ed Emma Bonino: «È stata una scelta politica conservatrice la bocciatura dei referendum su eutanasia e cannabis. E non mi aspettavo che il presidente Amato usasse quei toni nei confronti dei promotori, descritti come dei furbacchioni […] Io credo che, al di là dei quesiti, il problema in Italia è lo strumento referendario: essendoci praticamente solo quello abrogativo, è normale che vi siano margini di interpretazione. E ritengo che la Corte abbia scelto la via interpretativa più conservatrice. Detto questo, sono dispiaciuta e affranta per le tante famiglie che avevano riposto fiducia in questo referendum e che continueranno a vivere situazioni di immane sofferenza. Aggiungo però che è una fake news diffondere l’idea che un ragazzo in stato di ubriachezza avrebbe potuto, come conseguenza del referendum sull’eutanasia, ovvero con l’abrogazione parziale dell’articolo 579 del codice penale, chiedere a un amico altrettanto ubriaco di ucciderlo».

  Comunque, adesso il Parlamento non deve strumentalizzare questa bocciatura per continuare a fare orecchie da mercante come ha fatto finora, ma deve farsi carico di discutere temi tanto sensibili e su cui la popolazione ha chiesto a gran voce che si colmasse al più presto un vuoto normativo non degno di un Paese civile.  

Angelo Lo Verme