Libertà di stampa. L’Italia è scesa al 58° posto

Il rapporto pubblicato da RSF (Reporter Sans Frontier), il World Press Fredom Index, ci dice che riguardo alla libertà di stampa l’Italia nella classifica mondiale ha perso 17 posizioni, precipitando dal 41° al 58° posto su 180. Tanto per capirci, l’Italia si è piazzata dopo Macedonia del Nord, Suriname, Gambia, Tonga e Burkina Faso. I primi tre posti sono occupati da Norvegia, Danimarca e Svezia. La Germania è al 16° posto mentre la Francia è al 26°, guadagnando in un anno otto posizioni. Gli USA scendono al 42° posto, il Giappone al 71°, il Regno Unito balza dal 33° al 24° e la Russia al 155° perdendo cinque posizioni; la Corea del Nord occupa l’ultimo posto, il 180° appunto. Tra i 180 Paesi valutati, il 73 per cento è caratterizzato da situazioni “molto gravi”, “difficili” o comunque “problematiche”.

Rispetto allo scorso anno dove 12 Paesi erano caratterizzati da una “buona situazione”, quest’anno ce l’hanno soltanto otto Paesi. Dunque la cattiva tendenza della libertà di stampa è una realtà mondiale, ma in un’Italia cosiddetta democratica, questo 58° posto che fotografa impietosamente lo stato doloroso dell’informazione del nostro Paese, è inaccettabile. Come non lo è ovviamente negli USA, in Giappone e in tutti quei Paesi che vogliono apparire democratici. La libertà di stampa è o dovrebbe essere il primo parametro per fotografare il vero stato della democrazia di un Paese, come lo sono già le carceri. Per stilare questa classifica, l’RSF si è avvalsa delle interviste, ovviamente anonime, rilasciate dai cronisti.

  L’Italia ora è considerata come Paese “a situazione problematica”. Ciò anche perché in gran parte delle nostre redazioni esiste “l’autocensura”, come si legge nel suddetto rapporto. Un po’ perché il giornalista, pur godendo di un certo clima di libertà, è portato a conformarsi alla linea editoriale della testata per cui lavora, che è quella del proprietario, quella, detta brutalmente ma con realismo, di colui che gli paga lo stipendio. Specie ora che il settore della stampa cartacea è in crisi e l’editore ci rimette. Quantomeno quest’ultimo si aspetta una certa “fedeltà”; si aspetta la pubblicazione di notizie che fanno i suoi interessi e quelli dei suoi amici. Interessi in definitiva economici realizzabili influenzando la classe politica locale e nazionale affinché legiferino in modo favorevole, o attaccando la concorrenza o gli amministratori pubblici restii.

  Insomma, tenendo aperto il giornale l’editore ci rimette dei quattrini, e allora è chiaro che questo deve servirgli per altri scopi che non è informare ma disinformare in funzione dei suoi interessi. Gli editori in Italia sono industriali, finanzieri, costruttori, proprietari di cliniche, ecc., quindi non ci si deve stupire se poi le testate non fanno il loro lavoro onestamente. Ci vorrebbe una seria legge sul conflitto di interessi, che proprio a causa dei molteplici intrecci di interessi personali non si fa mai. Un’altra cosa era quando il proprietario della testata realizzava buoni guadagni e quindi era più propenso a tollerare notizie non conformi alla sua linea editoriale: in un sistema capitalistico l’importante è guadagnare. Cosicché in passato i direttori con la sue redazioni potevano godere di una maggiore autonomia. Ora l’Italia, si legge sempre nel report, viene indicata come un Paese dove si fa legislativamente poco per tutelare la libertà di stampa, a causa di “un certo grado di paralisi legislativa”, stagnazione parlamentare e governativa che sta “frenando l’adozione di vari progetti di legge”.  

  Un po’, come si legge nel suddetto report, le notizie scomode vengono taciute anche per timore delle querele e delle richieste di risarcimenti esosissimi, considerato l’abuso che in Italia se ne fa per scoraggiare le redazioni. Oppure per le minacce della criminalità organizzata, ove i direttori e i giornalisti con la schiena dritta devono vivere sotto scorta. Riguardo al reato di diffamazione, si legge spesso che è stato depenalizzato. In realtà ad essere depenalizzata con Decreto Legislativo n. 7 del 2016 è l’ingiuria (art. 594 del codice penale), che è l’offesa all’onore e al decoro di un individuo, che è presente al momento dell’ingiuria. La calunnia (art. 368 c. p.) si ha quando qualcuno, anonimamente o meno, accusa alle autorità un soggetto di un reato, pur sapendo che è innocente. La diffamazione invece (art. 595 c. p.) è il reato di chi offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa e in presenza di almeno due testimoni o a mezzo stampa o anche via internet, punibile fino ad un anno di reclusione e con la multa fino a € 1.032,91. Purtroppo di questa legge si fa un abuso strumentale per scoraggiare i direttori e i giornalisti a scrivere e a pubblicare notizie che magari poi risultano veritiere e il querelante dovrà pagare le spese processuali. Intanto però costringe il presunto diffamatore a recarsi con una certa frequenza nei tribunali per difendersi, spendendo tempo prezioso e denaro. Se gli va male il reo deve risarcire l’offeso che aveva richiesto somme talmente esorbitanti, che nemmeno a vendersi tutto il patrimonio potrà mai racimolare.

  Insomma, è giusto che il giornalista verifichi sempre con scrupolo le fonti e che paghi se non lo fa e poi dà notizie false. E’ altrettanto giusto però che se il presunto offeso utilizza in maniera strumentale la legge sulla diffamazione e solo per scoraggiare l’informazione chiede cifre da capogiro, risarcisca il direttore della stessa somma richiesta. Ciò scoraggerebbe tantissimo le querele strumentali. L’avvocata sudafricana Stella Morris, compagna e sposa di Julian Assange, purtroppo vittima illustre della insufficiente libertà di stampa, dice che ogni generazione ha una battaglia epica da compiere, e la libertà di stampa è la nostra. Bisognerebbe lottare di più per questa essenziale libertà, per una maggiore democrazia e per ottenere una vera giustizia di fronte alle leggi. L’informazione è alleata della democrazia, la disinformazione invece è alleata della tirannia. Tirannia di Stato e degli individui dotati di grandi mezzi economici e di pari mancanza di scrupoli. Si spera che il nostro parlamento e governo si spendano maggiormente per evitare quel “certo grado di paralisi legislativa” denunciato nel suddetto report pubblicato da Reporter Sans Frontier.

Angelo Lo Verme