Sagittarius-A – Il mostruoso buco nero al centro della nostra Galassia

Nel 2017 i trecento scienziati di venti Paesi e ottanta diversi istituti facenti parte del progetto EHT (Event Horizon Telescope), hanno collaborato unendo otto osservatori radioastronomici sparsi per il mondo per farli funzionare come un unico grande telescopio. Cosicché questa unica struttura virtualmente grande quanto la Terra, ha raccolto in più notti molteplici immagini del buco nero Sagittarius-A o SGRA. Il suo nome deriva dalla costellazione Sagittario nella cui direzione esso si trova, appunto al centro della nostra Galassia. Ci sono voluti poi cinque anni per combinare e analizzare con l’ausilio di supercomputer tale grande mole di dati e ottenere le immagini di SGRA, distante 27 mila anni luce da noi. Esso comunque è mille volte meno massiccio di M87, l’altro ancor più mostruoso buco nero della galassia Messier 87 nella costellazione Virgo-A, nell’ammasso della Vergine, “fotografato” tre anni fa e distante 54 milioni di anni luce. Per dare un’idea della sua mole, si pensi che M87 potrebbe contenere al suo interno l’intero nostro sistema solare.

  L’Italia ha contribuito a tale risultato con due Istituti e due Università: l’Inaf, Istituto Nazionale di Astrofisica, l’Infn, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l’Università Federico II di Napoli e di Cagliari. Nella conferenza stampa di Roma i ricercatori italiani hanno definito l’immagine “una prova schiacciante” dell’esistenza di un buco nero al centro della nostra Galassia: Ciriaco Goddi, dell’Università di Cagliari, Inaf e Infn, Elisabetta Liuzzo Nicola, Marchili e Kazi Rygl, tutti e tre dell’Inaf, e, in collegamento, Rocco Lico, di Instituto de Astrofìsica de Andalusia e Inaf, e Mariafelicia De Laurentis, dell’Università Federico II di Napoli e Infn.

  Per definizione il buco nero non è visibile ma influenza ciò che gli sta e gli gira intorno e quindi, individuando delle stelle che orbitano attorno a un centro invisibile, se ne deduce che possa esserci un buco nero. La prova più “diretta” della presenza di un buco nero è l’osservazione delle onde gravitazionali. L’immagine poi non lascia più alcun dubbio. Quest’ultima, faticosamente costruita in tanti anni, altro non è che la luce distorta dal potente campo gravitazionale che emana il plasma incandescente attorno alla zona d’ombra e ruota a velocità prossime a quella della luce. Essa è prodotta dalle stelle risucchiate e “triturate” dalla mostruosa forza di gravità che caratterizza ogni buco nero, un vero e proprio collasso gravitazionale da cui, appunto, non può fuoriuscire nulla. Infatti, da un punto di vista relativistico, si definisce buco nero una regione dello spazio-tempo con una curvatura talmente grande che nemmeno la luce può fuoriuscirne, giacché la velocità di fuga, cioè la velocità minima necessaria ad un oggetto per sfuggire ad un campo gravitazionale, dovrebbe essere superiore a quello della luce, come si sa, impossibile da superare.

  La superficie immaginaria dello spazio-tempo che separa il buco nero dalla parte da cui non può fuoriuscire nulla da quella da cui giungono dei segnali si chiama orizzonte degli eventi. Ovviamente, come nulla può uscire da un buco nero, così nessun corpo può entrarvi senza essere ridotto in poltiglia. In base alla massa, un buco nero viene classificato in: supermassiccio, quando la massa è superiore a milioni di volte quella del sole; massa intermedia, inferiore a quella precedente; stellare, quando si origina dal collasso di una stella massiccia; micro, cioè con una massa pari a quella del sole. Il buco nero Sagittarius-A è classificato supermassiccio, dunque, anche se, come già detto, è mille volte più piccolo di M87, è comunque un bel mostro massiccio quattro milioni di volte del nostro sole. Gli scienziati sono rimasti stupiti di come le dimensioni dell’anello collimano con le previsioni della Teoria della Relatività Generale di Einstein, a riprova del suo grande genio.

  I risultati del lavoro degli scienziati dell’EHT sono stati pubblicati in dieci articoli il 12 maggio scorso sul numero speciale di The Astrophisical Journal Letters, una delle più importanti pubblicazioni scientifiche nel campo dell’astronomia e dell’astrofisica. Il gas che ruota attorno i due buchi neri finora fotografati si muove alla velocità, come già detto, prossima a quella della luce. Per M87, essendo più grande, il gas impiega giorni per fare un giro completo e quindi, essendo un obiettivo più facile e più stabile, le immagini sono più luminose e si assomigliano tutte. Per SGRA invece il gas impiega pochi minuti per fare una rotazione completa, cosicché la luminosità e la configurazione delle immagini cambiavano rapidamente. Il gruppo ha dovuto impiegare strumenti più sofisticati che tenevano conto del moto del gas attorno a SGRA. Quindi è stato molto più difficile assemblare i diversi scatti, giacché l’immagine ottenuta è stata la media delle diverse immagini scattate.

  Angelo Lo Verme