Pilù: la giustizia monca…

Pilù fu torturata e le sevizie furono filmate con un video.

Pilù morì a causa delle gravi lesioni riportate.

Pilù era una cagnolina Pinscher dell’ex fidanzata del suo maltrattatore.

I fatti successero a Pescia, nel Pistoiese, nel mese di maggio 2015, ma la denuncia arrivò mesi dopo con la diffusione del video.

Pochi giorni fa è arrivata la sentenza di condanna: 18 mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena più il pagamento spese e al risarcimento da liquidarsi in sede civile. Se per la normativa vigente giustizia è stata fatta, almeno in primo grado, sicuramente non lo è per quella Giustizia che risponde ad una Legge morale non scritta, a norme etiche ampiamente diffuse nel comune sentire.

18 mesi con pena sospesa… in pratica niente, un mero scappellotto giuridico. Tanto vale la sofferenza di un essere vivente? Tanta violenza punita con qualcosa che equivale né più né meno ad una lavata di testa giudiziaria?

Giustamente non sono mancate le reazioni di disappunto per una condanna ritenuta dai più debole e per nulla proporzionata alla gravità del crimine commesso. Alcune critiche, però, erano motivate con il solito stigma della progressione della violenza: si parte dagli animali e si finisce con le persone. Come se la violenza contro gli animali non fosse di per sé grave e pericolosa socialmente. Finché continuiamo a considerare i crimini contro gli animali meritevoli di attenzione solo perché prodromici alla violenza tra umani, non vi sarà nessuna reale e concreta valorizzazione dei diritti animali.

Non ci sembra così difficile da capire, tolte la lente dell’antropocentrismo, che il maltrattamento di animali è pericoloso socialmente a prescindere delle conseguenze che ne possono derivare per gli umani, poiché la pericolosità deve essere valutata in base al danno arrecato alla vittima animale, all’offesa ricevuta e alla sofferenza patita. Il punto centrale della questione è che deve essere la vittima animale protagonista di qualsiasi valutazione e non il fatto che la violenza che ha subito possa essere “scuola di crudeltà per gli uomini”, a meno che non vogliamo restare negli orizzonti miopi dello specismo, ma così facendo, parlare di diritti degli animali stride con la logica e il buon senso.

Il caso di Pilù è l’ennesima conferma che la normativa di riferimento, soprattutto negli aspetti sanzionatori, risulta del tutto inadeguata a contrastare un fenomeno criminale così diffuso. Purtroppo, è evidente che, nonostante alcuni casi di maltrattamento incontrino grande eco, questi crimini – e, di conseguenza, i loro agenti – sono tollerati in modo più indulgente dalla legislazione e dalla società in confronto ad altre trasgressioni, in netta coerenza con la prospettiva antropocentrica. Più che pena giusta, ovvero adeguata all’offesa e idonea a risarcire il danno arrecato, scorrendo le condanne delle sentenze, laddove ci sono, si ha la sensazione di trovarsi alla presenza di pene meramente formali.

In questo contesto, appare ancora più impellente la necessità di rinnovare il nostro apparato giuridico. Non sono rinviabili ulteriormente le modifiche alla normativa vigente, non solo sotto l’aspetto sanzionatorio, ma più in generale dell’intero sistema di prevenzione e di tutela penale degli animali, come proposto dalla LAV. È un dovere garantire giustizia, con una pena giusta e proporzionata, alle vittime. A qualsiasi vittima, di qualsiasi specie.

Ciro Troiano