Politica mangiatutto
La stampa ci informa che un rudere, più volte incendiato, del litorale nord barese è stato demolito. Meglio, non del tutto, perché c’è qualche frammento di amianto e quindi il comune, che si è incaricato della operazione nel rispetto della legge, ha dovuto fermarsi, sempre per il rispetto della legge, di fronte al pericolo costituito dall’amianto.
Che si fa? Quando tutti questi ostacoli burocratici saranno superati e le macerie portate via (sempre nel rispetto della legge tanto c’è chi paga tutte queste lungaggini, costi amministrativi e cautele di ogni genere), si farà un bando che, assieme ad altre aree, permetterà al comune di offrire agli imprenditori locali e alla loro clientela la fruizione di questi spazi… ovviamente a titolo oneroso e non gratuitamente. Cioè il Comune si è procurata una rendita esentasse senza però aver comperato gli immobili che adesso offre, ma in forza della propria condizione di ente pubblico che gli permette di prescindere da questi “dettagli”; rendita che sarebbe dovuta andare ai proprietari di immobili privati, e quindi a dei pagatori di tasse.
In pochi ricordano che i Padri Costituenti si incaricarono di precisare, all’articolo 53, che lo stato e tutti gli Enti Pubblici possono finanziarsi solo con le tasse collegate strettamente con la capacità contributiva di ogni cittadino e non indicarono altri sistemi; lo vollero precisare perché il potere pubblico può cedere alla tentazione di usare le proprie prerogative per ottenere vantaggi economici intesi a rafforzare le proprie clientele e il proprio potere; privilegi previsti per la funzione politica che andrebbero utilizzati per i cittadini e non per la perpetuazione dello stesso proprio potere.
Quindi le Istituzioni devono finanziarsi con le tasse calcolate sui redditi dei cittadini e basta. Se non è sufficiente il gettito ottenuto devono ridurre gli stipendi ai politici e ai dipendenti pubblici; cioè devono economizzare in base a quella che è la ricchezza prodotta e non l’inverso; non devono e non possono incamerare dividendi di società di proprietà pubblica magari operative in regime di monopolio o quasi (come l’acqua, l’energia, l’assicurazione, e tutto il resto) né fare concorrenza ai privati nell’offrire spazi pubblici a pagamento in concorrenza con i privati stessi che a differenza loro le tasse le pagano. Incamerare quei proventi come impunemente si fa, è di fatto fiscalità occulta.
Quando poi esistono dei proventi extra rispetto alle tasse essi vanno impiegati per alimentare un fondo sovrano o distribuirli ai cittadini e cioè inviandoli a casa della gente come loro credito in quanto titolari di quelle attività che non sono nella disponibilità dei governi o dei sindaci o altri amministratori ma dello stato e quindi direttamente dei singoli cittadini e non certo di chi gestisce momentaneamente la cosa pubblica.
Una rivoluzione? No, solo logica, la stessa che ha ispirato i Padri Costituenti.
Canio Trione