Lectio magistralis e l’appello alla politica del professor Canfora: “La guerra atomica è già dietro l’angolo”

È un terrazzino gremito di pubblico, quello del Fortino di S. Antonio di Bari, in attesa di Luciano Canfora, il noto accademico divenuto, suo malgrado, oggetto di polemiche per le sue posizioni e interviste soprattutto dopo la pubblicazione del suo imperdibile “Guerra in Europa – l’Occidente, la Russia e la propaganda”, scritto a quattro mani con l’alacre vicedirettore de “La Verità“ Francesco Borgonovo. Solo uno dei tanti libri questo, ma fondamentale, tra i tanti già disponibili a firma dei migliori intellettuali e geo analisti che si stanno ribellando contro la narrazione unificata corrente, e smaccatamente filo atlantista, che cerca di imporre una sola chiave di lettura alla mascherata guerra mondiale contro la Russia in atto in Ucraina; un fronte in costante crescita questo (come altrettanta opinione sempre più diffusa e critica su questo conflitto) composto da fior di giornalisti e commentatori di ogni provenienza, cui manca davvero solo un atto unitario sottoscritto per essere un manifesto culturale di libera controinformazione (subito bollata come filo putinista) che cerca di opporsi al mainstream corrente divenuto in realtà un vero e proprio battage, peraltro ben sostenuto dai principali media nazionali, ma con dietro la più poderosa e globale macchina di propaganda di massa mai messa in campo prima d’ora.

Roba da far impallidire tutte le fake che hanno preceduto o giustificato gli ultimi conflitti storici (o ancora in corso) visto che la posta in gioco è, credibilmente, il tentativo di disegnare un nuovo Mondo che stravolga tutti gli attuali equilibri geopolitici internazionali esistenti. Una profezia che si sta avverando e l’amara conferma, se vogliamo, di quanto già preannunciato anni fa da Joel Bakan con “The Corporation” (in ristampa e aggiornato ai tempi con nuovo titolo e forse con tanto di sempre attuale docufilm della nostra Fandango in allegato): il libro, cioè, che spiega chiaramente «il potere che hanno le multinazionali (quelle che in America vengono chiamate corporations) nell’ economia mondiale, dei loro profitti e dei danni che creano». Ossia “la Cupola” invisibile (Club Bildeberg incluso) dello strapotere finanziario imperante che verosimilmente sta tirando i fili della guerra in atto perché protesa alla conquista della Terra con una organizzata campagna planetaria di conversione al pensiero unico e laico, grazie al quasi monopolio dei social e del cyberspazio, in nome della democrazia e del “politically correct”.

In definitiva una sorta di “Grande Fratello”, forte delle più moderne e sofisticate tecniche di comunicazione, divenuto lo strumento principale con cui dar vita a un nuovo ordine mondiale a esclusivo uso e consumo di un Occidente atlantico, o forse ancor meglio di chi lo gestisce. Ossia quel “Monster” che Vladimir Putin teme forse più delle armi ai suoi confini, perché visto non solo come un pericolo alla stabilità e alla sicurezza interna della sua Nazione, ma come una vera e propria minaccia alla Russia, e se vogliamo anche all’Umanità intera, attraverso il sovvertimento di tutti quei valori anche culturali, a cominciare dalla Religione, che sono alla base del suo e nostro Mondo, almeno per come lo conosciamo ed è ancora organizzato finora. Ma «Dividi et impera» destabilizzare Putin e mettere fuori giuoco la Russia sarebbe a questo punto solo il primo, indispensabile passo per poi dividere definitivamente l’Europa in Eurasia ed Euramerica (sotto diretta influenza e controllo dell’Alleanza Atlantica): sarebbe questo, infatti, il sempre più evidente disegno di Joe Biden, e del suo principale sodale Boris Johnson, per ridare ad America e NATO quella leadership nel Mondo compromessa (se non perduta) oltre a garantire guadagni stratosferici a quanti – da “BigPharma a BigArma” fino ad una “Transizione Ecologica” forse più profitti che benefici – sono verosimilmente la cabina di regia occulta dell’intera operazione. “Una tempesta (quasi) perfetta”, preparata da anni non solo con le armi, ma soprattutto con una studiatissima propaganda universale (elemento imprescindibile per la tenuta di tutte le democrazie basate sul consenso) che spiega contemporaneamente “il perché” e “il come” di questa “guerra per procura” in Ucraina. E anche il motivo per cui sono sempre più scopertamente USA e Inghilterra che starebbero di fatto vanificando ogni tentativo di cercare una ragionevole soluzione di Pace, confidando oltretutto, e paradossalmente, sul sangue freddo di Putin, la cui superiorità, in termini di armamenti strategici e nucleari, è peraltro pure fuori discussione.

Quello che non ci si spiega, però, è perché l’Italia e l’Europa Occidentale accettino tutti gli immani rischi e sacrifici della lunghissima «guerra di logoramento» – nella migliore delle ipotesi – che ci attende tutti pur di restare in questa NATO per come si sta sempre più rivelando, e che in realtà non ha il nemmeno tutto quel potenziale di difesa comune che le si accredita. E tutto questo invece di cercare, piuttosto, una ragionevole soluzione a questo conflitto con quell’Europa dell’Est con cui, in felice e reciproco scambio commerciale e di risorse, ha condiviso una pace durata 70 anni. Un dubbio che già da solo basta a spiegare la nostra presenza ufficiale all’attesissima lezione di Canfora “Guerra e Pace nel mondo contemporaneo” – come l’ha voluta chiamare il suo editore storico Alessandro Laterza – per questo irrinunciabile appuntamento inserito nella tre giorni di “Libri in Giro” promossa dalla Città Metropolitana di Bari: una vera e propria lectio magistralis, ahimè senza nemmeno repliche a breve previste e in assenza di grandi media e tv, vista la “contemporaneità” di altri eventi di richiamo come “Bari e la Puglia nelle serie tv” e il “Gay Pride”. Nello stile misurato che è la sua cifra, comunque inalterato il ritratto del presente che ne è scaturito rispetto a quello che già Canfora fece ai tempi del Covid – e forse ancor più che mai valido oggi – quando parlò di un’«Europa “gigante incatenato” perché non è padrona del suo destino, perché è divisa al suo interno, e dall’esterno vengono pressioni molto negative per cui è necessario un anno zero da cui ricominciare e riscrivere il patto europeo».

Un patto che evidentemente non c’è stato o non si è voluto cercare, complice, non sappiamo quanto incolpevole, anche la nostra politica che, attraverso le recenti elezioni al Colle e una diversa scelta almeno circa il Capo dello Stato, avrebbe potuto dare all’Italia ben altro ruolo internazionale e forse persino scongiurare in partenza questo conflitto. Ma a “democrazia blindata” ormai da anni, si è invece passati da una gestione emergenziale e parlamentare all’altra, dalla guerra ancora aperta al Covid e quella vera in corso, con un semplice scambio di testimone da un Premier tecnico ad un altro: cioè da Conte a Draghi, ma lasciando inamovibili in entrambi gli Esecutivi proprio i due Ministri ad hoc per ambedue le vere e più grandi sfide con cui il nostro Paese dovrebbe prioritariamente misurarsi, ma senza dimenticare però disagi, paure e preoccupazioni di quella quasi maggioranza di italiani che non si riconosce più in alcune scelte di questo Governo e, in particolare, di questi due delicati dicasteri.

Sorvolando su un oggi che si commenterebbe da solo, dopo i suoi riferimenti ad un passato che ricorda ben altro atteggiamento indipendente della nostra politica internazionale (citando Moro e Craxi) e di USA che evidentemente non ne hanno azzeccate molte (dal lontano Vietnam fino all’Afghanistan di oggi) ma con «Stati Uniti che hanno ormai il monopolio dell’intera Unione Europea ridotta ad una sorta di appendice impotente tutto sommato, balbettante… e con un Paese (il nostro) che obbedisce in maniera quasi automatica » conseguente e quasi inevitabile una nostra domanda al prof. Canfora se in questa guerra, in cui siamo coinvolti e che sta fatalmente sconfinando in guerra nucleare, ci siano ancora margini per delle trattative di Pace. «Gli spazi ci sono sempre» sintetizzando la sua risposta «ma tutto dipende dall’alto».

Chiaro non si riferisse né a Dio né a Papa Bergoglio (pur da lui ben citato, ma inascoltato se non addirittura ostacolato nei suoi tentativi) bensì al nostro potere centrale. Già proprio quel potere, cui evidentemente la Storia non deve quantomeno aver insegnato molto, pensando a quanto fece l’Italia per la Terra e la Pace nel neanche tanto lontano 1990. Altri tempi altra politica, quando un certo Giulio Andreotti, su cui di tutto si è detto tranne che fosse un improvvisatore della politica, insieme a Papa Wojtyla (dominatore e protagonista della scena internazionale del suo tempo, oltre che Santo) chiamarono a Bari tutti, ma davvero tutti, i Capi delle Religioni del Mondo con le loro delegazioni per cercare di fermare una guerra che nemmeno ci vedeva in prima linea con chi l’ha voluta. Ordunque, per considerazioni ovvie persino per un bambino, perché non pensare adesso ad una “Bari, Capitale della Pace tra Oriente ed Occidente” come lo fu allora? Stiamo parlando della perfetta “zona franca”, in quanto patria del “Santo più Santo del mondo”, ossia quel S. Nicola, venerato in ugual modo da cristiani ed ortodossi, nonché di casa da noi e l’unico ambasciatore che neppure Putin, volendolo, potrebbe ignorare.

Ma cosa aspettano ancora la nostra Chiesa e la nostra Politica almeno a tentare un primo passo verso la distensione prima che si verifichi «il peggio che è dietro l’angolo» per usare le stesse parole di Canfora? Oltre 50 mila morti finora, da una parte e dall’altra dei più diretti contendenti, lo spettro della fame e di esodi di massa da ogni dove, oltre al rischio di una guerra che potrebbe annullare il genere umano, ma per cosa stiamo alla fine combattendo? Cui prodest tutto questo, e quali sono i nostri reali interessi in questa contorta e disumana vicenda?
L’appello ad «una seria riflessione su questo conflitto» fatto da Bari e da Canfora non cada dunque nel vuoto, salvo voler trasformare l’Ucraina in un nuovo Vietnam nel cuore dell’Europa e condannare, così, il Vecchio Continente ad una crisi e un declino senza rimedi e in una scia di sangue che ci riporterebbe agli orrori dei millenni che ci hanno preceduto. Paure palpabili e tutt’altro che immotivate, come dare del tutto torto a quanti che, consapevoli che il nostro Paese sarebbe obiettivo strategico primario della Russia in caso di guerra aperta e totale, hanno inteso protestare davanti alle basi americane nel nostro Paese? Uno “yankee go home” ripescato dagli archivi e dalle teche della Storia che è sicuramente frutto di grande angoscia e preoccupazione ma anche, alla fine, un invito a lasciare l’Italia e l’Europa, pur nel rispetto dei patti, più libere di decidere in piena autonomia del proprio destino e futuro. Insomma qualcosa che quasi somiglia a quel “grido di dolore…” che fu invece raccolto, e ci riporta con la memoria alla nostra seconda guerra d’indipendenza. Ma, a 165 anni di distanza da allora, ci sarà adesso qualcuno, tra quelli che decidono per noi tutti, che questo attuale “grido di dolore” quantomeno lo terrà in conto per una opportuna riflessione?

Enrico Tedeschi