FdI: “Bolina 2022” e le vele giuste per arrivare primi, ma quale la rotta scelta per l’Italia e l’Europa?
Puglia alla riscossa dopo le recenti amministrative, partenza alla grande da Giovinazzo (Bari) di Fratelli d’Italia con sul palco anche l’europarlamentare Raffaele Fitto.
“Pronti a governare il Paese”, questo il messaggio elettorale in chiaro di Fratelli d’Italia per le politiche a breve. E con un titolo per le sue convention in tour che più azzeccato non lo si poteva: “Bolina 2022”. Quasi a voler ribadire, anche attraverso il nome, come questo partito, finora all’opposizione da solo, sa come portare l’Italia fuori dalla tempesta a dispetto di tutti i venti contrari. Tranne quelli, però, di origini atlantiche che, con buona pace della Pace e di una Realpolitik non fatta certo di astrazioni, agitano il Mondo. Una scelta di campo, a nostro avviso, incomprensibile e in nome di un filoatlantismo che in realtà già vede come paladini dichiarati, e quasi titolari in esclusiva del “brand”, un PD e i suoi alleati in elmetto, fortemente schierati con USA e NATO per un’ideologica “guerra di democrazia” (laddove, volendolo, questa non esisteva né da una parte né dall’altra dei due contendenti) diventata globale, ma che appare sempre più evidente che è invece un attacco diretto contro Putin e teso alla creazione di un diverso ordine mondiale. Discontinuità assoluta con i due precedenti governi “emergenziali” e con un’opposizione coerente con le promesse fatte al suo elettorato, non certo un caso se oggi, stando ai sondaggi, FdI è primo in Italia con un 25 % dei consensi e, secondo molti, forse pure destinati a crescere. Quanto è comunque immediatamente bastato a scatenare da sùbito il sempreverde allarme antifascista cui, ad abundantiam, adesso le sinistre stanno pure aggiungendoci, stavolta a discredito dell’intero centro destra unito, “il carico da undici” dell’accusa di un filoputinismo ispirato se non alimentato di nascosto dalla Russia. Come se, al contrario, non si potesse invece sostenere che questa “guerra provinciale” in Ucraina, divenuta mondiale e a rischio di trasformarsi in nucleare, non potesse essere stata in realtà preparata e scatenata da USA & c. per interessi che, guardando bene, nulla avrebbero a che vedere con quelli dell’Italia, E neanche, dicendola tutta, di quella Europa (ancora incompiuta) di cui il nostro Paese fu tra i principali fondatori.
Quell’“Europa, gigante incatenato” – usando le parole di un luminare al di fuori di ogni sospetto come il prof. Luciano Canfora – «di cui gli Stati Uniti hanno il monopolio… e con un Paese (il nostro) che obbedisce in maniera quasi automatica»; avendo implicitamente rinunciato da tempo, cioè, a rivendicare a sé quel ruolo da protagonista che per Storia, Cultura e produzioni le spetterebbe comunque di diritto anche in questa Europa organizzata così com’è. O anzi, ancor meglio, non rivendicando a sé perfino un ruolo naturale di guida, visto che l’Italia, al centro di quel “MediOceano” come hanno pure ribattezzato il Mediterraneo, è la Nazione, geopoliticamente parlando, più importante della Terra. Analisi e chiavi di lettura peraltro condivise ormai da quasi tutti gli intellettuali e giornalisti liberi – e di ogni schieramento! – che sono in opposizione sempre più netta rispetto al mainstream unificato e imperante; un’interpretazione del presente, peraltro, che si sta sempre più facendo strada non solo nella maggioranza dell’opinione pubblica più informata e colta, ma anche presso quel popolo che in prima persona sta già sperimentando sulla propria pelle gli effetti di una crisi che, non ci vuole un Nobel a capirlo, è pure un effetto diretto e ancora solo parziale, purtroppo, di questa guerra caparbiamente voluta in Ucraina. Una guerra, se vogliamo, persa in partenza su tutti i fronti dall’ Occidente Atlantico, anche perché l’unica alternativa prevedibile in caso di una sua “vittoria”, inutile farsi illusioni, è una guerra totale e nucleare. Salvo che nel frattempo non si sia almeno cercata una tregua che eviti il peggio prima che sia troppo tardi. Ma la caduta di Johnson nella sua “Brexilandia”, le difficoltà crescenti di Biden negli Stati Uniti e lo sfilarsi per tempo di Draghi in Italia(come pure si potrebbero interpretare le sue dimissioni in Patria) davvero non dicono proprio niente a nessuno? Con questo quadro generale e un’astensione che si annuncia da record per le prossime elezioni, dunque impossibile per noi non tralasciare tutto pur di essere presenti a questo appuntamento, oltretutto giocato in casa. E dunque, tornando alla cronaca, partenza alla grande, questo 25 u.s., di questo “Bolina 2022” dalla Puglia e da Giovinazzo, ovvero la “perla del nord barese” esattamente al centro del centro della Regione e a pochi chilometri dal capoluogo: il posto ideale, cioè, per poter essere raggiunto facilmente da ogni dove e anche dai posti più lontani. Struttura di grande capienza e bellezza scelta come location, una manifestazione ben organizzata persino con animazione e buffet di prelibatezze locali, è stato un vero successo in termini di partecipazione di simpatizzanti ed iscritti, questo incontro, considerata anche la presenza di quasi tutti i politici più rappresentativi del partito nelle istituzioni locali. Tanti e comunque non quanti questa forza politica avrebbe potuto esprimere, considerando il grande bacino di eredità storica qui ancora radicato, ma evidentemente non intercettato né nelle regionali di due anni fa (e con un candidato di peso, l’on Fitto, dato quasi per sicuro vincente alla vigilia del voto) né nelle ultime amministrative, dove i risultati non hanno certo premiato le aspettative, e non solo di FdI, ma di un po’ l’intero centro destra. “Terra Emiliana”, quella pugliese, dove comunque, a decenni di distanza, si sente ancora la mancanza di quel “ministro dell’armonia” capace di portare poi con forza, da qui a “Roma”, le istanze e le idee raccolte anche personalmente dal territorio e dalle basi. E comunque sul palco e ancora una volta «a metterci la faccia» pure l’on. pugliese Raffaele Fitto (ovvero l’eurodeputato che insieme Giorgia Meloni, Presidente dell’ECR oltre che leader di FdI, è al vertice con lei del Partito dei Conservatori e Riformisti Europei a Bruxelles) mentre a fare gli onori di casa e ricevere i convenuti l’on. Marcello Gemmato eil dr. Michele Picaro, rispettivamente coordinatore regionale e segretario provinciale per Bari di FdI. Grande entusiasmo e persino premi per le performance nelle ultime amministrative a chi si è particolarmente distinto, comunque impossibile non notare qualche osservatore fuori campo in giro e, soprattutto, la strana assenza di figure di spicco dell’ex AN o storici esponenti del MSI.
Forse solo casualità, ma sarebbe ipocrito negare che possa piuttosto essere il segno che qualche perplessità inizi a serpeggiare nell’ambiente, anche a fronte delle ripetute dichiarazioni della Meloni circa la posizione dell’Italia nel contesto internazionale e rispetto ad un conflitto in corso, che però sempre più si presenta con una chiave di lettura pressoché invertita rispetto a quella imposta dalla propaganda globale in atto. Un equivoco da cui uscire poiché oggi, fatti alla mano, «filoatlantismo e filo europeismo» insieme suonano quasi come una contradictio in terminis, visto ciò che sta succedendo direttamente ai danni dell’Europa e non solo: per ricaduta, infatti, è una crisi divenuta mondiale e destinata a divenire cronica e con un’escalation dagli esiti imprevedibili. E il tutto, diciamolo chiaro, per un esagerato e ingiustificato allargamento della Nato che è divenuto minaccia diretta alla sicurezza della Russia e, di conseguenza, destabilizzazione di quella Europa dell’Est che, per la legge dei contrappesi, era garanzia per tutti di indipendenza ed argine al vero imperialismo in atto da anni, per ora solo economico, della Cina. Dunque un grave errore non tener conto della trappola mediatica in corso che cerca di dare un alibi ad una guerra che avrebbe ben altri fini da quelli sbandierati, come una corretta interpretazione dei fatti in chiave storica, geopolitica e di Realpolitik sta rivelando.
L’Italia, con queste elezioni e la parola tornata finalmente al popolo sovrano, ha l’opportunità irripetibile di voltare veramente pagina e di riprendere in mano il proprio destino e, con il suo, pure quello dell’Europa. Non sprecare questa preziosa occasione, riconsiderando le proprie posizioni sulla base di lucide analisi oggettive e tenendo conto solo dei reali interessi dell’Italia e basta (e senza interferenze esterne) è dunque questo il vero dovere, secondo noi, di tutte le nostre forze politiche, nessuna esclusa. La condicio sine qua non, inoltre, per qualsivoglia trattativa diplomatica o di pace possibile e da cercare, emergenza assoluta nelle tante emergenze, a qualsiasi prezzo. Poi agli italiani decidere se stare con chi vuole che questa guerra debba continuare costi quel che costi, o con chi quantomeno un percorso di mediazione per la Pace intende metterlo tra le priorità in agenda per il prossimo Esecutivo. Dimostrare di essere statisti prima ancora di essere al Governo, non sarebbe forse questo il miglior manifesto elettorale possibile per chiunque si proponga alla guida del Paese? D’altronde un aggiornamento, forse più che un ripensamento, delle proprie posizioni alla luce di un “Re sempre più nudo” (quel “Grande Fratello” in corso che Orwell profetizzò alla conquista del Mondo già nel lontano 1949) è oggi un atto ineludibile di coraggio intellettuale e di responsabilità civile che non solo allenterebbe tensioni interne e spaccature, ma arginerebbe le sempre più forti tensioni sociali che potrebbero la stura a formazioni politiche inedite: quelle che potrebbero fare persino la differenza in queste elezioni improvvise, facendo bottino di consensi tra quel terzo di italiani che alle urne non ci vanno perché non credono più alla politica. O anche tra quelli che semplicemente hanno paura di questa guerra, o ne accusano già le conseguenze, e vorrebbero poter tornare indietro nel tempo: a prima di quel fatidico 24 febbraio, cioè, con un’Europa dell’Est e dell’Ovest, in pace tra loro da 70 anni e in felice rapporto reciproco di scambi commerciali ed economici. Un miracolo paradossalmente più che possibile ancor oggi, e pure a portata di mano, se la Politica semplicemente copiasse dalla Storia riproponendo ciò che Andreotti e Papa Wojtyla, e proprio da Bari, fecero nel nome della Pace nel Mondo nel non molto lontano 1990. Ma “Mistero della Fede” – è proprio il caso di dirlo – sembra proprio che nessuno voglia o possa muoversi in tal senso.
Enrico Tedeschi