Salvini: trampolino da Bari per la conquista del sud, ma senza guerra
«Per essere candidati della Lega in Puglia occorrono 2 tessere: quella della Lega e quella del Milan» scherza così con i giornalisti il leader della Lega che è da Bari, e da un suo Lido storico, che qualche giorno fa ha voluto iniziare il suo tour attraverso il Sud per questa campagna lampo «per andare a vincere le elezioni di questo 25 settembre» insieme al centro destra unito «…la coalizione compatta, armonica, coerente» di cui fa parte. Oltre 300 invitati entusiasti che hanno accolto con un applauso il suo invito a «…portare ogni giorno a casa un consenso, una testa ed un cuore…» è un Matteo Salvini brillante e disponibile con tutti e selfie a volontà con chiunque «anche fino a mezzanotte», quello che si è presentato ai suoi sostenitori e simpatizzanti dopo un intero giorno nel capoluogo e dintorni. Una serata godibilissima minuto per Minuto (giusto a ricordare chi insieme alla senatrice Tateo gli ha fatto gli onori di casa) e persino con citati «panzerotti e mozzarelle» dal palco, oltre alle altre prelibatezze pugliesi a disposizione degli ospiti. Un discorso breve, quello di Salvini, in cui ha ricordato comunque i risultati ottenuti dalla Lega su un po’ tutti i fronti, proprio stando in entrambi i Governi precedenti, ma senza naturalmente omettere un riferimento marcato «…agli sbarchi che noi abbiamo bloccato…». Già quel problema grave e cronico già prima, ma adesso ulteriormente peggiorato per il micidiale combinato disposto tra i migranti di sempre via mare e quelli nuovi, in arrivo dall’Europa dell’Est, quali effetto diretto del conflitto in corso in Ucraina.
Un tasto (la guerra) neppure toccato, comunque, dal leader della Lega né in questa circostanza e nemmeno pubblicamente, ad evitare che l’accusa di filo putinismo, già circolante in modo subdolo contro l’intero centro destra (in accoppiata, per di più, al sempreverde ed utile antifascismo rispolverato regolarmente alla vigilia di ogni consultazione elettorale) potesse prestarsi a ulteriori strumentalizzazioni. E soprattutto da parte di quasi tutti principali media nazionali che, diciamolo chiaro, trattano ormai come quasi come un tabù intoccabile il “filo atlantismo” e un tutt’uno non separabile dal “filo europeismo”. Come se i tanto cantati «filo atlantismo e filo europeismo» insieme, non suonassero già praticamente, anche alla luce della sola Realpolitik, come quasi un contradictio in terminis: a dirlo gli effetti rovinosi di cui stiamo avendo per ora solo un assaggio, ma più che sufficienti a parlare, già oggi e dati alla mano, di grave crisi energetica ed industriale in atto e di inflazione crescente e, in risposta, di misure (a debito) per cercare di contenerne gli effetti.
Il tutto per una guerra che non ci appartiene per Costituzione, Cultura e Fede e in cui ci troviamo ob torto collo cobelligeranti contro l’ex amica Russia per ragioni non certo nostre, né tantomeno legate ai nostri interessi reali e concreti. Senza contare che, Paese geopoliticamente più importante del Mondo nonché sede delle più strategiche basi militari USA e Nato in Europa, l’Italia sarebbe il primo bersaglio in assoluto – sperando non succeda – qualora precipitassero gli eventi e Putin, messo all’angolo, desse seguito alle sue minacce nucleari, forte com’è di un arsenale terrificante e di armi tecnologicamente senza risposta adeguata da parte dell’Occidente. Il motivo più che probabile, questo, anche della maggior prudenza (per la deriva preoccupante che potrebbero avere alcune scelte opinabili di Biden) per cui lo stesso Pentagono cerca di mantenere vivo il più possibile un dialogo con il suo analogo russo. Una possibile “guerra nucleare alle porte” e una crisi che già morde, sono circa il 60% gli italiani preoccupati dello stato attuale delle cose: buona parte di quell’abbondante terzo di elettorato, cioè, che crede sempre meno alla politica e probabilmente non andrà alle urne anche perché stranito di fronte ad una visione geopolitica miope e in apparenza pressoché univoca dei maggiori partiti che poi dovrebbero formare il nuovo Esecutivo: ovvero una sinistra in elmetto e fortemente schierata con USA e Nato per una guerra anche ad oltranza, costi quel che costi, e paladina dichiarata di una “democrazia da esportazione“ senza se e senza ma e, dall’altro lato, un centro destra che comunque si dichiara anch’esso filoatlantico, sia pure con qualche distinguo, ma in ogni caso allineato all’Europa con Usa e Nato in difesa dell’Ucraina. Anche se, oggettivamente, non certo con la stessa categorica determinazione dei suoi avversari, e forse solo aspettando i tempi che oggi non ci sono per una più approfondita analisi e discussione nel merito.
Ed eccoci così a circa 45 giorni dal voto con un’Italia spensierata in vacanza, nonostante Covid e guerra in corso, con spettacoli su spettacoli nelle piazze, mentre radio e tv hanno sostituito i vari “speciali” e talk show (corredati da lacrimosi reportage quasi sempre da un unico fronte) con trasmissioni leggere di intrattenimento e film per non turbare gli animi e non «creare un inutile panico nella popolazione», volendo usare un noto dejà vu che ci riporta al gennaio 2020 e ad inizio pandemia. Una pausa dalla realtà, un “limbo” artificiale anche stavolta in attesa quasi passiva degli eventi? Di certo la Politica in generale – quasi un tacito accordo fra tutti i maggiori partiti – non sta parlando di guerra né mettendo più di tanto in discussione la linea filo atlantista del nostro Paese. E questo neppure da parte di quelle forze da cui pur ce lo si sarebbe atteso, sia per coerenza sia per non lasciare spazio a forze che invece il tema lo cavalcheranno, eccome, per intercettare un popolare rifiuto tout court della guerra e un sempre più diffuso scetticismo per l’interventismo europeo su cui ci sarebbe molto da dire. E anche da fare visto il ruolo marginale che abbiamo, quando una più ragionata visione, in chiave realistica e geopolitica globale, potrebbe ridare all’Italia quel ruolo che le spetta come Paese fondatore e grande produttore, se non addirittura farle assumere un ruolo guida di mediatore, e non solo per tutelare i nostri sacrosanti e bistrattati interessi, ma a vantaggio di tutta un’Europa che, se libera da condizionamenti ed influenze indebite, sarebbe senza dubbio il primo Continente del Mondo.
Alle prime battute di una campagna elettorale che si preannuncia senza esclusioni di colpi, e in cui può avvenire tutto e il contrario di tutto, comunque almeno finora sembra che sia ancora l’agenda Draghi a far da bussola per le due principali coalizioni contrapposte circa il posizionamento internazionale dell’Italia. Quasi in barba al parere della stragrande maggioranza degli italiani che la prima delle cose che chiedono al Governo che verrà è la Pace, presupposto imprescindibile per la sicurezza e il benessere della Nazione. Ma mai possibile che, finalmente alle urne per decidere chi guiderà il Paese, il popolo non possa ora semplicemente poter scegliere, soppesandone bene tutte le ragioni, a chi dare il voto tra chi ritiene che questa guerra sia assolutamente necessaria e chi è invece meno perentorio o di parere contrario? Un problema anche elettorale dunque questa guerra, con probabilmente sotteso il più grande intrigo internazionale che mente umana potesse mai concepire, ma la cui risoluzione sembra perciò rimandata per intero al dopo elezioni e al nuovo Governo: la nostra Politica, esclusi retorici richiami alle diplomazie al lavoro – e abbiamo anche visto quali sono stati gli esiti delle nostre missioni finora?! – non sembra infatti intenzionata persino a mettere in piazza un argomento scomodo, ma forse solo per non aggiungere caos al caos, visti i tempi ristretti. Ma dando evidentemente per scontato che, fino alla data del 25 settembre non succederà nulla. Ottimismo fuori luogo a prescindere e non certo un ritratto confortante dei partiti in campo, anche perché qui non è in gioco solo il destino del nostro Paese ma del Pianeta e dell’Umanità intera. Senza contare, per quello che è la fotografia del momento e con le nuove armi in circolazione, che anche un banale incidente potrebbe avere lo stesso effetto di una scintilla in una polveriera o, ancorandoci alla cronaca, del missile sbagliato su una centrale nucleare. In pratica la guerra totale.
Di qui l’importanza assoluta che questo voto in Italia finisce per assumere a livello internazionale per gli equilibri mondiali e, di conseguenza, la pesante responsabilità che tutti i partiti devono assumersi cominciando col chiarire, prima di tutto a se stessi prima di andare alle urne, qual è la loro idea sulla posizione che dovrebbe avere il nostro Paese rispetto ai suoi alleati e a questa guerra. D’altronde, inutile essere ipocriti, è questa la prima e vera emergenza di cui parlare e da affrontare, perché è da questo conflitto che dipendono sia il nostro presente immediato che il nostro futuro. E nulla a che vedere ciò, ad evitare equivoci, con la necessità di restare fedeli a Nato e Patto Atlantico. Anzi. Piuttosto un invito generale a rivedere il quadro di tutte le alleanze da una parte e dall’altra, e magari subito dopo pensare a ridisegnare l’Europa per come l’avevano sognata i loro fondatori. Un progetto ambizioso però realizzabile, ma che risente dei tempi lunghi della Politica, mentre per adesso e nel frattempo la guerra va avanti per conto suo, seminando stragi, povertà e paura.
Enrico Tedeschi