La visione futura del Sud passa dalla visione futura del mare

In Germania si discute animatamente sull’acquisizione cinese di una quota rilevante di un porto tedesco. Il rischio dell’arrivo di capitali esteri è accompagnato dal timore che da quelli e dalla loro influenza si possa poi dipendere, perdendo autonomia. Nel sistema portuale italiano la presenza cinese è bassa. Tuttavia nei nostri porti la presenza straniera si fa sempre più consistente.
La marginalizzazione delle compagnie italiane negli scali del nostro Paese è progressivamente cresciuta dagli anni duemila in poi. Le quote italiane sulle importazioni ed esportazioni sono vertiginosamente calate per tutte le tipologie di trasporto.
Dunque, sebbene le leggi italiane offrano abbastanza protezione contro i tentativi di acquisizione degli scali da parte delle società private, è indubbio che negli ultimi anni i nostri porti siano stati progressivamente conquistati dalle compagnie straniere che si sono assicurate molte concessioni del demanio pubblico.
La posizione strategica che il nostro Paese occupa nel Mediterraneo costituisce un potenziale consistente per lo sviluppo economico italiano, a maggior ragione in questo momento storico in cui il trasporto merci per via marittima sta acquisendo sempre più rilevanza. Sarà importante cercare di capitalizzare al meglio la posizione geografica del nostro Stivale, cercando di spingere le compagnie italiane nella corsa alla banchina.
La blue economy e il suo indotto sono un aspetto chiave sia sotto il profilo logistico e industriale (zone franche comprese) sia nella declinazione più francese dei port de plaisance, le marine dal ricco indotto turistico. Bontà sua, l’Italia ha “soltanto” 8mila chilometri di coste, 285 porti e approdi turistici, più di 162 mila posti barca. Se n’è accorta Giorgia Meloni, che ha istituito il Ministero del Mare: adesso si tratta però di riempirlo di contenuti. Con un minimo di attenzione e qualche investimento mirato, il nostro Paese può infatti migliorare le sue performance come hub mediterraneo.
La maggior parte del traffico di 30 milioni di container provenienti ogni anno dal Canale di Suez passa davanti alle nostre coste ma solo poche navi si fermano.
Per raggiungere il Nord Europa dall’Egitto passando da Trieste invece che da Gibilterra si risparmiano ben 4 giorni di navigazione.
Parlando di investimenti, l’effetto leva è di 1 a 3. Nel senso che ogni euro investito nei porti ne genera tre nell’economia. Questa proporzione è utile a spiegare, in maniera sintetica ed efficace, quanto sia importante investire fondi nel settore, in maniera tale da favorirne la crescita, lo sviluppo, per cui nuovi posti di lavoro.
Ma come dovranno essere i porti italiani? Attraenti.
I volumi dei traffici nei porti dell’Autorità di Sistema portuale del mare Adriatico meridionale (AdSPMAM) continuano a crescere. L’economia marittima può rappresentare una delle opportunità principali non solo per riportare le regioni meridionali in una linea di galleggiamento, dopo i recenti decenni che hanno aumentato il divario rispetto al centro-nord, ma anche per superare le secche di una stagnazione ormai pluridecennale.

Solo quando il Mezzogiorno è cresciuto, l’economia nazionale ha registrato sviluppo e competitività. E questo è stato sottolineato recentemente anche dal presidente pugliese di Confindustria, Fontana.

Per rendere più attraenti i porti, specie quelli meridionali, serve l’alta capacità ferroviaria per le merci e l’alta velocità per i passeggeri. Serve dunque realizzare un collegamento veloce per le regioni meridionali, per migliorare i collegamenti logistici con il ricorso alla intermodalità.
Il sistema portuale ha risentito dell’arretramento competitivo della struttura produttiva nazionale. Gli scali portuali sono andati in ordine sparso, privi di un disegno di articolazione strategica che ne consentisse la valorizzazione: sono prevalse le spinte verso la competizione interna, più che verso la proiezione su scala internazionale.

Per paradosso, i porti del nord Italia svolgono un ruolo strategico soprattutto per l’economia industriale del centro e dell’est Europa, inclusa la pianura padana, mentre sono i porti meridionali che dovrebbero essere la piattaforma primaria per garantire una presenza europea nel Mediterraneo. Il baricentro del futuro sarà collocato maggiormente verso il mezzogiorno, per effetto di dinamiche demografiche e scelte di investimento che si stanno orientando verso il Nord Africa.
In questo contesto si inseriscono le ZES introdotte nella legislazione nazionale nel 2017 con l’obiettivo di far leva sulla portualità meridionale per attrarre nuovi investimenti o per consolidare le industrie già presenti sul territorio, per favorirne una necessaria crescita dimensionale e l’indispensabile apertura al commercio internazionale.

Le zone economiche speciali potranno aver successo solo se saranno in grado di intercettare le traiettorie del modello manifatturiero che si è affermato su scala internazionale. Non basta disegnare, come pure è necessario, un pacchetto localizzativo attraente in termini di incentivi fiscali e di misure di semplificazione amministrativa. Serve attrarre soggetti imprenditoriali di dimensione globale che siano in grado di generare ricadute produttive sui territori in termini di filiera e di internazionalizzazione. Per l’intera Unione Europea la partita dei prossimi due decenni si giocherà nel Mediterraneo: un quarto dei traffici marittimi mondiali transitano nel Mare Nostrum, all’interno del quale la Cina ha posizionato le due pedine strategiche di posizionamento nel porto del Pireo e nei porti del Nord-Africa.

L’Italia potrebbe e dovrebbe svolgere questo ruolo, assieme a Francia, Spagna, Grecia. Il Next Generation EU prevedeva non soltanto azioni nazionali dei singoli Stati membri, ma anche interventi trasversali di diverse Nazioni si temi strategici di interesse comune. Perciò la pianificazione portuale è un’attività che dovrà essere considerata in modo preponderante. Anche e soprattutto in chiave sostenibile. Parliamo infatti della possibilità di alimentare i grandi bastimenti fermi ai porti con corrente elettrica prodotta a terra. In una parola, di banchine di attracco per le navi elettrificate con relativo azzeramento delle emissioni climalteranti in atmosfera.

Con un grande risparmio energetico. Il problema infatti è che i “giganti del mare”, per mantenere in funzione luci, frigoriferi e riscaldamento o raffrescamento nel periodo estivo, sono costrette a tenere accesi i motori, liberando un’enorme quantità di fumi di biossido di azoto, zolfo e altri composti e polveri climalteranti e dannosi per l’ecosistema. Senza contare anche l’inquinamento acustico.

Accanto all’idea di creare delle isole artificiali ecosostenibili, capaci di produrre in accumulo energia alternativa, piuttosto che ingombrare le rotte di piattaforme galleggianti con pale eoliche off shore, di modo da non ostacolare le rotte marittime. Le comunità energetiche dovranno rappresentare, assieme all’incremento della intermodalità ferroviaria al sud, ed al ripensamento attraente delle infrastrutture portuali, le grandi sfide del Ministero del Mare. Non a caso, accorpato al Sud.

Giuseppe Romito
Coordinatore Regionale
Italia Liberale Popolare
Presidente Movimento LIB