Recensione di “Il ladro di merendine” di Andrea Camilleri
Dopo “La forma dell’acqua” e “Il cane di terracotta”, Andrea Camilleri pubblicò nel 1996 questo terzo romanzo giallo con protagonista l’ormai celeberrimo Commissario Montalbano. Edito da Sellerio editore Palermo, è composto da 247 pagine e oggi il suo prezzo di copertina è di 10,00 €. Al solito, con il frequentissimo uso di termini e frasi in dialetto siciliano con la tipica sintassi a rovescio, Camilleri ricrea la parlata popolare di tutti i giorni e rappresenta in tal modo l’ambiente tipico siciliano. Non che sia necessario usare il dialetto del luogo per descriverne l’ambiente sociale. Autori come Verga, Pirandello, Sciascia e altri, sono riusciti a rappresentare egregiamente il carattere tipico dell’Isola, raramente ricorrendo all’uso di termini dialettali. Indubbiamente però la frase o la parola dialettale colorita, non possono non dilettare e divertire il pubblico dei lettori più vasto, che si vede rappresentate e assurte a dignità letteraria le situazioni e il vivere quotidiano.
In questo romanzo il commissario Salvo Montalbano è ancora un giovane quarantaquattrenne siciliano. Meteoropatico e verace, estimatore raffinato e appassionato della buona tavola, astuto come una volpe e irriducibile avversatore quanto berteggiatore delle indagini condotte col metodo scientifico, in un mondo in cui l’intuito e la sagacia dell’investigatore vecchia maniera pare vengano snobbati sempre più dalla tecnica scientifica, capace questa di sventolare energicamente la sua pretesa infallibilità solamente al servizio dell’intrigo e della “ragion di stato”. E si scopre così quanto cinica è l’ipocrisia dei servizi segreti che sotto l’egida della ragion di stato, sono autorizzati ad andare oltre il lecito e la morale, piegando ai fini dei poteri istituzionali qualsiasi burocrazia e indagine pseudoscientifica. Perciò Montalbano rifiuta la sicura promozione a vicequestore che lo inchioderebbe ad una burocratica poltrona e lo allontanerebbe da quei luoghi dov’è più conveniente invece ch’egli “conduca il suo naso”, per esercitare la sua vocazione investigativa e poter “fiutare” le tracce direttamente, prima che la manipolazione sapiente e avallata da ragioni di uno stato che non sente più affatto essere il suo, glieli conducano sulla scrivania bell’e confezionati ad arte, per stravolgere la verità dei fatti.
Non è un caso che proprio un Autore dell’agrigentino perpetua l’eredità lasciata da Sciascia, cioè quel modo d’indagare la realtà e la verità dei fatti attraverso l’uso del sano intuito e della ragione illuminata. Quest’ultima è capace di restare “immune” dai venti delle comuni passioni e dagl’interessi personali, o dagl’interessi dei gruppi di potere più o meno forti. E quello agrigentino è appunto un territorio dove sembra che le “passioni” debbano resistere più che altrove al tentativo della ragione d’illuminare gli ancestrali spettri della prevaricazione (antiche dominazioni e mafie odierne). E gli spettri, si sa, circolano e terrorizzano di più col favore delle tenebre. Così anche il Commissario Montalbano, come il Capitano Bellodi, il Professor Laurana o il Vice, è costretto ad arrendersi a motivi più “potenti” della verità; che poi siano ragioni di stato o di mafia, poco importa. Della verità egli cerca di salvare il salvabile, facendosi egli stesso complice nel farle assumere la forma più conveniente per tutti, compromesso come si trova ogni volta che va a rovistare nel torbido, da esigenze di sicurezza per le persone incolpevoli. Come l’acqua appunto, che di per sé informe, assume la forma del recipiente in cui è contenuta (vedi “La forma dell’acqua” dello stesso Autore).
Inverosimile l’episodio del “vecchio viddranu su uno sceccu carrico di rami secchi” che quando gli chiedono d’indicargli dove si trova la via Garibaldi egli stolidamente risponde: «Via Caribardi? Lei mi viene a dire “via” a Caribardi con tutto questo burdello che succede nella nostra terra? Ca quale “via”! Caribardi deve tornare, di prescia, a rompergli il culo a questa maniàta di figli di buttana!» .
Angelo Lo Verme