Joseph Aloisius Ratzinger: figura eccezionale della Chiesa di Roma
Non è certo facile, né luogo adatto come un breve articolo giornalistico, trattare di Joseph Aloisius Ratzinger, papa Benedetto XVI; qui interessa delineare, per quanto possibile senza annoiare, alcuni tratti della sua personalità e della sua cultura, intuiti da tanti, ma non del tutto razionalizzati, che hanno fatto di lui una figura eccezionale.
La Chiesa di Roma, regno spirituale del Cattolicesimo e regno temporale della Città Vaticano, è stata, ed è, una importante fattore della cultura italiana ed è sempre apparsa come un monolite, nonostante gravi vicissitudini storiche.
Con la morte di Benedetto XVI, tuttavia, anche a seguito delle pesanti dichiarazioni e del libro “Nient’altro che la verità” dell’arcivescovo Georg Gänswein, segretario personale di Ratzinger, emerge un forte dibattito, al suo interno, fra due differenti e contrapposte visioni di vita, che i due papi hanno voluto tenere sopito per tutto il decennio della vita di Ratzinger, dal tempo delle sue dimissioni.
Il vaticanista Antonio Politi è esplicito: “all’interno della Chiesa cattolica c’è una guerra civile … tra il fronte conservatore e quello riformista di Papa Francesco”.
Ecco le due visioni contrapposte, destra e sinistra: visioni politiche.
Si può immaginare, quindi, come e quali forze, esterne alla Chiesa, abbiano simpatizzato per l’uno o per l’altro fronte.
“Guerra civile” l’ha definita Politi, a significare l’asprezza del conflitto interno e a testimoniarne il riflesso esterno.
È indicativo, a questo proposito, che Ratzinger abbia chiesto al suo segretario, ottenendone la promessa, di distruggere tutti i propri documenti personali; come è indicativo che Georg non abbia resistito ad esternare i propri malumori e a descriverli nel suo libro.
Si capisce anche perché Bergoglio abbia congedato l’arcivescovo Georg dal suo ruolo di capo della Prefettura della Casa Pontificia.
Tutti, sembra oggi, effetti di quel conflitto latente fra le due visioni. Ratzinger e Bergoglio, pur nel massimo rispetto reciproco, rappresentavano i fronti opposti.
Politi incalza: “Francesco gode di un grande consenso tra i cattolici, tra i cristiani, tra i musulmani e tra gli ebrei, tra gli agnostici, tra i non credenti. Però, quando si tratta di prendere posizione, sono molto più attivi i conservatori. E adesso diventeranno ancora più aggressivi, perché sperano che anche Papa Francesco si dimetta e si arrivi al Conclave”.
Nascono così tante occasioni di polemica che qui non tratteremo.
Solo per singolo esempio, citiamo quella che riguarda i funerali di Benedetto XVI a seguito della richiesta del Vaticano, ai governi mondiali, di partecipare ai funerali in forma privata, fatta eccezione per il governo italiano e quello tedesco.
Da dove nasce questo conflitto nella Chiesa, che dovrebbe rappresentare la Religione e non la Politica?
Intanto, osserviamo che la figura di Ratzinger appare “soffocata” fra i due papi, Karol Wojtyla e Jorge Mario Bergoglio, molto amati dai popoli, entrambi più “politici” rispetto al teologo Ratzinger.
Ci sembra di poter sintetizzare così: mentre Karol Wojtyla voleva cercare il ribaltamento del potere comunista in una Europa vista come prigioniera di Mosca; mentre Jorge Mario Bergoglio tende a fare della Chiesa un centro di ambizioni politicamente universali; al contrario Ratzinger voleva combattere il relativismo dominante, sia culturale (non è dato giudicare culture diverse dalla propria) che etico (rifiuto che esista una morale universale).
Da qui l’immagine di un Ratzinger “conservatore” e, quindi, da emarginare.
Sono famose le proteste di docenti e studenti della Università “La Sapienza” di Roma a seguito delle quali Benedetto finì per declinare l’invito di inaugurare l’anno accademico 2008.
Tuttavia, il fatto che Benedetto XVI sia stato poco amato, secondo una opinione diffusa, è sconfessato dalla enorme e sorprendente partecipazione di prelati (oltre 130 cardinali, 300 vescovi, 3.700 sacerdoti), di rappresentanti di Case reali, di tanti capi di Stato, di un popolo in processione per tre giorni; nonostante egli non fosse empatico e nonostante la brevità delle esequie (1,15 ore).
Benedetto XVI è stato oggetto di moltissime critiche ed attacchi che lo descrivevano come “conservatore” ed “integralista”.
Invece, egli diceva: “La tradizione non è una gabbia di acciaio, ma una molla che spinge in avanti…”.
Il suo pensiero fu esplosivo nella sua lectio magistralis “Fede, ragione e università – Ricordi e riflessioni”, tenuta il 12 settembre 2006 a Ratisbona, nella quale sostenne che ”L’affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione (N.d.R. Religiosa) mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”.
Molti la presero male, soprattutto i musulmani. Ma in questa affermazione c’è tutto Ratzinger. Soprattutto c’è il superamento del dissidio fra fede e ragione.
La tesi: la religione è cultura; c’è metafisica solo con la conoscenza della realtà scientifica.
Benedetto, sulle orme di Tommaso d’Aquino, sosteneva la sinergia fra fede e ragione. In sintesi, sosteneva: “la ragione non è sufficiente per raggiungere Dio, ma ha bisogno della fede per elevarsi fino a Lui”.
Egli ha pronosticato e denunciato, opponendosi al relativismo, la attuale crisi dei valori. Il suo pensiero era ben declinato: “La tradizione è molla del futuro; l’identità è quella mediterranea, sintesi della filosofia classica, della tradizione ebraica e della centralità romana”.
L’influenza di Atene, Gerusalemme e Roma è evidentissima.
Nell’enciclica “Caritas in Veritate” scriveva: “L’uomo ha a disposizione tantissimi strumenti. Ma se perde i riferimenti in termini di valori, il rischio è che gli strumenti siano fini a sé stessi. Di più, assumano autonomia morale”.
Non è questa la vera “rivoluzione” del suo pensiero?
Per Benedetto, la Chiesa, se tabernacolo della religione e della fede, doveva coltivare “principi inalienabili”. Da questi propagano temi come:
“la tutela della vita in tutte le sue fasi”; la consapevolezza della “struttura naturale della famiglia”; “il diritto dei genitori di educare i propri figli”; “il diritto a non emigrare”; il rifiuto dello “indottrinamento di Stato”.
Ed ecco la ferma opposizione al relativismo visto come un “cancro sociale che non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie”.
Questo approccio non è integralista ma è solo la conservazione dei valori e delle tradizioni; e non è certamente il rifiuto della modernità, della evoluzione, dello sviluppo sociale ma è enfatizzazione di questi sulla base della identità storica.
Per questa sua visione, Benedetto XVI ha cercato, sempre, dialoghi costruttivi e d’integrazione con tutte le religioni e con tutti i popoli, finanche con quello cinese.
Ma non è questo tutto Ratzinger. Il banchiere e saggista Ettore Gotti Tedeschi definiva il papa “grande statista” e un formidabile “risanatore sotto il profilo economico”.
Statista, perché diede un forte impulso di adesione alla legislazione internazionale; Risanatore perché risanò le finanze dello Stato del Vaticano.
Un profondo interesse del papa era la globalizzazione; si chiedeva, infatti, se la Cina, una volta diventata forte, avrebbe voluto esportare la sua cultura.
Il tema è simile a quello della occidentale “esportazione della democrazia”, ma fatto senza guerre; come si dice, “in maniera soft”.
Tuttavia, la domanda pregnante è: perché Benedetto si è dimesso?
Da quanto scritto finora, si possono estrarre alcune inclinazioni della risposta.
Le reazioni al suo Discorso a Ratisbona gli hanno fatto capire la propria inadeguatezza ad essere un “politico”; ma soprattutto ha acquisito la consapevolezza che per salvaguardare il cristianesimo, che tutti sappiamo essere in profonda crisi addirittura nel proprio mondo, non è facile farlo da teologo; ci vuole un papa capace di trasmettere forza e coraggio, di ottenere consenso, di propagare empatia.
La consapevolezza di essere considerato persona “da accantonare” e di avere contro il mainstream di una certa nota visione del mondo, il cui primo desiderio è accantonare le identità e la libertà che lui, invece, difendeva strenuamente, noi crediamo abbi fatto molto gioco.
In conclusione, Benedetto XVI non è “conservatore” né “integralista” ma un vero “rivoluzionario” che professava che la modernità e l’evoluzione vanno gestite senza esserne schiavi; ma, per gestirle si ha bisogno di una stella polare che indichi il percorso: appunto i principi e i valori inalienabili.
Il suo atto più rivoluzionario?
Le dimissioni che hanno lasciato di stucco il mondo intero.
Antonio Vox – Presidente “Sistema Paese” – Economia Reale & Società Civile