L’Europa e le case degli italiani

Poi, ci si meraviglia che tanti italiani vedano l’Europa come “matrigna”.  Le “transizioni”, quella ecologico-green, l’energetica e quella digitale, stanno creando gravi problemi ad aziende e famiglie, per il semplice fatto che non tengono conto delle situazioni economico finanziarie di chi sia chiamato ad ottemperare e perché si pongono come accelerate incomprensibili forzature a sé stanti, prive di un articolato e graduale piano integrato d’azione.

E, tutto ciò, a prescindere dai necessari corollari quali i supporti legislativi di agevolazione e incentivazione.

Qui, in particolare, ci riferiamo alla transizione ecologico/green e della annunciata iniziativa europea riguardante la casa.

Premettiamo che non siamo anti-ecologici o anti-green o quant’altro, né tantomeno possiamo accettare i danni all’ambiente provocati da un dissennato e incivile inquinamento già, peraltro, punito dalle leggi vigenti.

È che, quando si tocca la casa, ci si rivolge a quel 70,8% delle famiglie italiane che ha una casa di proprietà: quindi, il tema suscita inevitabilmente attenzione e sensibilità. Infatti, la casa ha costituito, da sempre, la principale forma di investimento delle famiglie italiane e rappresenta, per un valore stimato di ben € 5.163 miliardi, quasi la metà della loro ricchezza lorda.

I dati citati sono tratti dal rapporto Istat/Banca d’Italia del gennaio 2022.

Una enormità, il valore immobiliare delle famiglie italiane, che è circa tre volte il PIL attestato su € 1.650 mld per l’anno 2020. Ma cosa dice l’ipotesi di direttiva della EU che riguarda essenzialmente la classe energetica della casa?

È un pacchetto che si sintetizza così:

La direttiva UE prevede che tutte le case e gli appartamenti europei dovranno raggiungere la classe energetica E (consumi di 91-120 chilowattora per mq) entro il 2030 e poi, successivamente, la classe D (consumi 71-90 kwh per mq) entro il 2033.

In particolare, per quanto riguarda il raggiungimento della classe E, i termini sono il 31 dicembre 2026 per gli edifici non residenziali e il 1° gennaio 2030 per quelli residenziali.

Il 2026 è domani; il 2030 è dietro l’angolo e il 2033 è subito attaccato in coda.

Andiamo al dunque: la nostra supposizione è che la direttiva sia demenziale perché, innanzitutto, appare operativamente infattibile ma, soprattutto, perché costituisce un salasso per le tasche delle famiglie e per le casse dello Stato (oltre € 60 mld per la prima fase) che ha ben altre urgenze da soddisfare.

Se, poi, a questo si aggiunge l’ipotesi di sanzione che è vietata “la commercializzazione degli immobili non in regola”, allora la assurdità si accompagna alla demenzialità.

Vai a scoprire chi si inventa certe regole …

Ma quale è l’obiettivo, secondo l’Europa?

Ridurre i consumi energetici e le emissioni di CO2 del parco immobiliare dei 27 Stati membri visto che esso è responsabile di oltre un terzo delle emissioni di gas serra nell’Unione Europea (chissà come vengono fatti questi calcoli); raggiungere, per accordi globali, la neutralità climatica entro il 2050 (pacchetto “fit to 55%”).

 

La Commissione Europea, però, non è così “matrigna”, come potrebbe sembrare a prima vista, perché lascia ai Paesi membri, bontà sua, la libertà di provvedere alla politica dei necessari incentivi ed agevolazioni.

La ANCE (Associazione Nazionale dei Costruttori Edili) conferma la nostra supposizione: nel ricordare che oltre 9 MLN (su 12,2 mln) di edifici residenziali sono stati costruiti prima dell’entrata in vigore delle normative energetiche nazionali e sono, pertanto, generalmente in classe G o peggiore, la Associazione denuncia la impossibilità pratica di rispettare le nuove regole.

Il 9 febbraio il testo della direttiva sarà discusso in ITRE (commissione EU per l’industria, la ricerca e l’energia) e già vede forti opposizioni soprattutto dall’area del Centro Destra europeo. 

Per l’Italia, la normativa è un disastro economico finanziario che priva il nostro Paese delle già scarse risorse finanziarie impedendo, così, ogni investimento per la crescita economica e lo sviluppo sociale del Paese.

Meno male che il governo Meloni si è tenuto molto prudente nel suo Piano Finanziario per il 2023.

Nel mentre, Francia e Germania, il cui sistema immobiliare è posseduto da società di Real Estate che, disponendo di capitali propri per un drastico intervento, potranno godere di un forte rilancio, dormono sogni tranquilli.

Non è, forse, tutto ciò una chiara destabilizzazione del mercato nazionale ed europeo?

Francia e Germania sono, così, privilegiate in maniera evidente, troppo evidente. Il dubbio di un loro zampino è concreto.

Purtroppo, siamo alle solite: una Europa così, a sistematica trazione franco tedesca, non potrà durare a lungo se non verrà riformata.  

Ma l’Italia dove prenderà i soldi necessari? Le famiglie come faranno ad affrontare questa ulteriore spesa forzata?

Dal PNRR? Il Sole 24 Ore scrive:

“Dei 222 miliardi di euro di investimenti del PNRR, 107,7 miliardi (quasi la metà, il 48%) riguardano il settore delle costruzioni e sono destinati interamente ad accompagnarlo verso la rivoluzione verde e digitale delle infrastrutture”.

Quindi, lì, tutto impegnato. Inoltre, c’è un altro onere: per rispondere agli aiuti di Stato USA alle imprese, l’EU ha impegnato € 670 mld di cui solo il 7% imputabili all’Italia perché il nostro Paese non poteva di più.

E allora, appare necessario aumentare l’indebitamento.

Stranamente, ma non tanto, ritorna il tema, mai sopito e sempre in agguato, del MES che è, oggi, configurato come organizzazione internazionale: direttore è Klaus Regling, tedesco; e nel cda siedono tre francesi e due tedeschi.

Lo scenario complessivo?

Oltre al Regling, è tedesca la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e il direttore della Banca europea degli investimenti, Werner Hoyer; mentre la presidente della Bce, Christine Lagarde, è francese; come Thierry Breton, super-commissario all’Industria.

Una cinquina ben fatta con criteri di ingegneria politica.

Sembra proprio, senza tuttavia essere appassionati di complotti e dietrologia, che il vero obiettivo sia la ricchezza del risparmio degli italiani (depositi bancari e immobili): un punto di forza dell’Italia che, colpevolmente, è rimasto lì, immobile e inutilizzato, alla mercé degli avvoltoi.

Il nostro Paese è un vascello nella bufera, appesantito dal Debito Pubblico, incapace di manovrare e con tanti “eventi avversi”, artatamente costruiti.

Un effetto di 50 anni di politica non-politica da noi praticata, dedita a coltivare relazioni interpersonali e interessi personali, come i colleghi europei, soddisfatti e irridenti, ben sanno in modo consolidato, soprattutto dopo la vergogna del Qatar Gate. Così classificati, senza credibilità e senza quella furbizia al servizio del Paese che ci renderebbe competitivi, siamo un Paese grande e adulto che si comporta da piccolo e infantile.

E’ obbligatorio riprenderci la nostra identità, la nostra libertà, la nostra dignità.

 Buona fortuna, Italia.

Antonio Vox – Presidente “Sistema Paese” – Economia Reale & Società Civile