Prigione numero 5, il libro di Zehra Dogan

Portata in Italia dalla casa editrice torinese Beccogiallo, Prigione numero 5 di Zehra Dogan è molto più di una semplice graphic novel: diario di una prigionia durata quasi tre anni, ma anche feroce e coraggioso atto di protesta, è soprattutto una preziosa testimonianza storica della resistenza di un popolo che, nel corso dei tanti decenni, non ha mai smesso di combattere contro le persecuzioni turche e che, anche oggi, continua a difendere la propria identità, quelle radici che periodicamente rischiano di essere sradicate per sempre.

Ed è proprio per un disegno pubblicato su Twitter e che fa il giro di mezzo mondo che Zehra viene condannata con l’accusa di propaganda terroristica, lei che oltre ad essere un’artista è prima di tutto è una giornalista e un attivista. I disegni sono anche quelli che, segretamente, realizza giorno dopo giorno tra le mura della sua prigione a Dyarbakir, nella Turchia Orientale, dietro buste da lettere e lettere ricevute dai amici. Miracolosamente, le sue memorie raggiungono l’esterno del carcere senza essere intercettate e, grazie agli attivisti curdi, giungono fino a noi sotto forma di libro e vengono esposti in musei come la Tate Modern di Londra o il PAC di Milano.
Tra le pagine di quest’opera preziosa il lettore conosce la vita tra le sbarre del carcere di questa giovane donna (la Dogan è nata a Diyarbakir nel 1989), così come fa con quelle delle detenute che vivono insieme a lei in spazi angusti e claustrofobici, dove le condizioni di vita sono al degrado: ognuna di loro è un attivista, molte hanno imparato a combattere fin da ragazzine o hanno visto la loro casa bruciare e la famiglia distrutta; tra di loro ci sono madri, mogli, figlie, ma prima di ogni cosa queste donne sono curde.
E poi ci sono quelli venuti prima di loro, i tantissimi esponenti curdi (non se ne conosce il numero preciso) che sono caduti sotto il peso delle violenze dei militari, delle umiliazioni disumane e crudeli e delle percosse che li hanno sì portati alla morte, ma mai al piegarsi o rinnegare la propria identità.

Analizzando le singole pagine si nota immediatamente la velocità con cui i disegni sono fatti, la segretezza che questi si portano dietro e la scarsità dei materiali a disposizione: del carboncino, ma anche fondi di caffè e fango, avanzi di cibo e sangue mestruale. Il tratto è forte come la personalità della donna che li realizza, trasmette tutta la disperazione, la violenza, le ingiustizie subite; i soggetti urlano il loro dolore proprio come urlano quelli presenti nel famoso quadro “Guernica” di Pablo Picasso e, come questi ultimi, devono subire impotenti le violenze dei regimi e della guerra, di una Storia che sembra ripetersi ancora e ancora.

Zehra Dogan è riuscita a scappare da quella violenza, è oggi tra i 100 artisti più influenti al mondo secondo ArtReview, ma non per questo ha smesso di combattere per la sua identità di donna curda o di far sentire al mondo la sua voce.

Valeria Scaringi