Contadini alla difesa della nostra cultura millenaria

Quando un napoletano intraprendente inventò la pizza non immaginò neanche lontanamente di brevettarla o di riservarsi dei diritti che gli garantissero delle royalties; lo stesso accadde per l’inventore del caffè espresso, come anche per colui che ha creato la burrata, la sfogliatella, il recentissimo spaghetto all’assassina, ecc. ecc; neanche Filippo Cea che ha isolato la varietà di mandorla che porta il suo nome ha pensato di brevettarla o chi ha introdotto la ciliegia ferrovia…come decine di migliaia di altri; invece per le nuove varietà di uva senza semi esiste un brevetto che costa al produttore e rende un profitto eterno al proprietario del brevetto stesso. Lo stesso -anche se in diversa maniera- accade per la Coca Cola o la Nutella e le tantissime altre produzioni delle corporations del nord del mondo.
E questo accade per tutte le colture “nuove” e brevettate in tutto il mondo ormai da anni.
Come mai? I meridionali sono fessi? Pure sono stati capaci di inventare cose portentose accettate entusiasticamente in ogni parte del mondo.

Lo scontro tra il vecchio mondo del cibo tradizionale come ad esempio l’uva autoctona e il nuovo cibo rappresentato nel nostro esempio dall’uva senza semi è una vera e propria guerra di sopravvivenza.
Il  nuovo mondo agricolo fatto di ricerca e tecniche innovative non si regge senza che qualcuno paghi profumatamente le sementi che inventa; cioè si tratta di produzioni che in se non sono competitive tant’è che senza le royalties non esisterebbe il settore e non avrebbe i finanziamenti  milionari dalle banche che permettono la creazione di varietà inesistenti in natura. I nostri contadini che saranno indotti ad usare tali brevetti, sono chiamati a pagare royalties che servono a sostenere le compagnie che studiano quelle varietà che porteranno a distruggere la loro tradizionale attività. Un assurdo reso possibile dalla totale ignoranza anche del mondo politico di quanto sta accadendo.

Il vecchio mondo agricolo dal canto suo non sopravvive se ha da combattere contro mega organizzazioni multinazionali che impongono in vario modo le loro varietà alleandosi con i distributori e con i mezzi di informazione. Il contadino che da sempre è custode di quanto più intimo conserviamo nella nostra memoria come il cibo, si trova a non poter vendere le sue produzioni perché il mercato è sommerso dalle nuove. Quando avrà dovuto estirpare le vigne estinguendo le varietà autoctone le compagnie potranno decuplicare le royalties oppure no, ma sarà tutto profitto netto; tutta la produzione sarà in mano loro.
Questa lotta per la sopravvivenza è principalmente tra concezioni della vita: il nuovo è basato sul danaro ad ogni costo; anche a quello di affamare intere popolazioni di produttori o di offrire ai consumatori contenuti nutrizionali pessimi se non dannosi. Efficientismo, tecnicismo, mondialismo, lobbismo, sono i termini che abbiamo conosciuto da ormai moltissimo tempo: sono le armi delle grandi multinazionali. Mentre lavoro, parsimonia, cultura, umanesimo, sono i pilastri della agricoltura tradizionale certamente salutare e pilastro dell’intera economia di larghissima parte del globo.

È possibile che la politica non capisca? Essa può risolvere la questione con un tratto di penna ma non lo fa; perché? È mai concepibile che la difesa della nostra cultura venga affidata ai contadini da soli? Come potranno vincere se sono avvolti dal silenzio sulla loro lotta? Questo silenzio non è voluto dalle multinazionali alleate con la dis-informazione?
L’Italia è certamente chiamata a rappresentare gli interessi non solo della nostra agricoltura ma anche quelli dell’intero sud del mondo che è vittima alla stessa maniera di questo attacco. Lo saprà fare? Vorrà svolgere il ruolo di grande potenza culturale mondiale che le compete?

Canio Trione