Liberali si, anzi no. Forse
Se sei impiegato in una fabbrica di scarpe e il tuo stipendio è di 2000 euro al mese è necessario che il valore delle scarpe da te prodotte -cioè il valore del tuo lavoro- sia superiore ai 2000 euro al mese da te percepiti se no il tuo posto di lavoro finirà presto. Alla stessa maniera anche il dipendente pubblico deve produrre servizi per un valore superiore al proprio stipendio se vuole che i pagatori di tasse -cioè i beneficiarti dai servizi pubblici- possano pagare il suo stipendio. Sono regole elementari come elementare e incontestabile è la legge di gravità che la politica di questa nostra epoca sfida spesso e volentieri. Non si tratta di sfruttare il lavoratore ma semplicemente di partecipare ad un sistema che crea valore e non lo distrugge.
È pur vero che spesso i datori di lavoro lucrano sul lavoro dei dipendenti profitti esagerati ma il mercato ha un antidoto efficacissimo e cioè la libertà di entrare nel mercato: se per esempio avere un B&B o produrre uva è particolarmente lucrativo in molti cercheranno di fare la stessa cosa calmierando così i prezzi e i profitti a tutto vantaggio dell’intera collettività. Infatti la scienza economica liberale classica teorizza la tendenza all’azzeramento ineluttabile del profitto che nel lungo periodo non può esistere.
Ma c’è una categoria di datori di lavoro -e cioè le grandi compagnie- che conoscono bene tutto questo e fanno in modo che non si possa entrare facilmente nei loro settori anche favorendo la promulgazione di leggi che impediscono o rendono molto difficile entrare in quel settore; vedi il caso delle banche ma anche dei bar di vicinato che hanno una barriera all’entrata molto onerosa. Barriera all’entrata che di fatto crea una rendita di posizione per chi già sta nel mercato senza motivazione.
Quindi in un mondo libero e liberale serve uno Stato che sappia molto bene quale è l’interesse della collettività e quindi abbia la determinazione di fermare le grandi corporations. Non è certamente liberale uno Stato che è di esse lo scendiletto.
Se per molto tempo lo stipendio dei dipendenti pubblici e, più in generale, di tutti i percettori di tasse eccede magari anche di molto la loro produttività si produce un sistematico trasferimento di persone e capitali dalla sfera privata a quella pubblica (meglio detto da Checco Zalone preferenza per il posto fisso) e il sistema si avvicina ad assomigliare a quello sovietico dove la produttività del lavoro è una variabile ignorata. Poi però anche il sistema sovietico crolla per via della sua inefficienza; per meglio dire: più tardi crolla e più grosso è il botto.
Queste regole elementari dovrebbero essere ben note a chi si professa liberale e attorno ad esse dovrebbe formarsi un partito unico senza bisogno di trattative e convegni ma semplicemente perché c’è, come effettivamente c’è, una idea unica -quella più sopra brevemente espressa- con un valore universale ed inoppugnabile.
E invece in Italia tutti o quasi tutti si professano liberali ma nessuno dice che lo Stato liberale non può essere condizionato dalle grandi imprese che sono l’antitesi e la morte dell’economia liberale sempre e in ogni dove. Non solo, ma nessuno dice una sola parola sulle piccole imprese che sono le uniche che spontaneamente possono arginare lo strapotere delle grandi e che ne costituiscono la ragion d’essere. Inoltre c’è qualcuno che addirittura professa in vario modo “più Europa” o comunque europeista cioè accettando e rafforzando una idea ed una prassi che più grandindustriale (e quindi illiberale) non può essere.
Tutto questo dimostra oltre ogni ragionevole dubbio due cose: che l’ideale liberale oggi non alberga certamente in quelli che tali si professano (e che spesso sono sul libro paga delle multinazionali) e che manca in tutta la filosofia politica odierna una idea delle piccola e micro impresa; e le ignorano perché vengono intese forse come inefficienti e sorpassate dallo sviluppo tecnologico laddove è esattamente l’inverso: è la grande imprese che nasconde la propria inefficienza strutturale sotto il rapporto con la politica che accorre a loro aiuto in cambio di lauti compensi. Ecco perchè la grande impresa è strutturalmente “troppo grande per esistere” e non certo “troppo grande per fallire”.
Canio Trione