L’Uzbekistan e la “Via della seta”

Uno dei metodi per farsi conoscere da uno stato estero è quello della cosiddetta “diplomazia culturale”. L’Uzbekistan è un paese di cui si parla poco in Occidente, resosi indipendente dall’Unione Sovietica nel 1991, cerca di accreditarsi nella realtà italiana attraverso una serie di eventi culturali. Due rivestono una particolare importanza ed entrambi non possono prescindere dall’approfondimento del concetto di “Via della seta”.

Alcune mostre sono destinate a lasciare un segno nel dibattito culturale per le possibilità di approfondimento che determinano, tra agli studiosi e gli appassionati, anche dopo la loro chiusura. Tra ottobre 2012 e marzo 2013, a Roma nel Palazzo delle Esposizioni, si è svolta la mostra sulla “Via della seta” organizzata dall’American Museum of Natural History di New York e l’Azienda Speciale Palaexpo e Codice, Idee per la cultura di Torino. Il percorso espositivo, ideato dallo statunitense Mark Norell, presentava una sezione italiana a cura di Luca Molà, Maria Ludovica Rosati e Alexandra Wetzel.

Più di duemila anni fa, mercanti, pellegrini e soldati affrontarono le ripide montagne e i pericolosi deserti dell’Asia centrale per scambiare beni di lusso, reperire testi sacri, conoscere e dominare popoli lontani; fu così che, a poco a poco, si creò quella rete di percorsi riassunti poi sotto il nome di “Via della Seta”. Il suggestivo termine non è nato insieme alla strada stessa: fu coniato solo nel 1877 dal barone Ferdinand von Richthofen, esploratore e geografo tedesco, zio del Barone Rosso, asso dell’aviazione prussiana durante la Prima Guerra Mondiale, che per primo la definì Seidenstrasse.

Parte del successivo interesse potrebbe essere attribuito al fascino evocativo del termine, benché un po’ ingannevole. Infatti, le merci passavano di mano in mano essendo affidate a diversi intermediari locali e a varie carovane che procedevano per tappe. La mercanzia erano stipate nei caravanserragli adibiti anche a luogo di scambio, per giungere finalmente a destinazione. Quindi, non si trattava di un unico viaggio effettuato dalle stesse persone, secondo l’idea sedimentata nell’immaginario collettivo.

La mostra del 2012 – 2013, nell’Urbe, ha dedicato particolare attenzione all’Uzbekistan, alla Cina, all’Iraq e all’Italia del Tardo Medioevo impegnata con Genova e Venezia nel commercio lungo la “Via della Seta”. La Via è oggi al centro dell’interesse geopolitico di potenze emergenti e crocevia di traffici commerciali ed energetici di diverse nazioni e coincide, in parte, con la rotta dei migranti che fuggono da situazioni di disagio dovute alla povertà, alla negazione dei diritti, agli sconvolgimenti politici e climatici.

Dall’antica “Via della Seta” è giunto a Tricase, in provincia di Lecce, un carico di ceramiche che sono state esposte, fino a gennaio di quest’anno, a Palazzo Gallone. L’inaugurazione si è svolta alla presenza delle autorità locali e uzbeke, giornalisti e visitatori. La mostra, organizzata dall’associazione Salento Cinema in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica dell’Uzbekistan in Italia, ha riscosso il favore del pubblico, stupito dalla bellezza degli oggetti esposti. L’avvio è stato dato dallo svolgimento a Tricase, del SIFF, il Salento International Film Festival, fondato, nel 2004, da Gigi Campanile, che ne è il direttore artistico.

La capitale Tashkent e le città di interesse artistico come Samarcanda, Bukhara, Khiva e Nukus, si sono aperte, nei recenti anni, al turismo internazionale che può contare su un ambiente abbastanza sicuro; per il sito Viaggiare Sicuri gestito dal Ministero italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale le predette località “sono oggetto di misure di controllo e non hanno sinora presentato particolari problemi di sicurezza, sia sul piano dell’ordine pubblico sia di fenomeni di criminalità a danno di viaggiatori e turisti”. Secondo l’Ambasciata uzbeca in Italia, la repubblica turcomanna ospiterebbe oltre 400 musei di cui 150 a gestione statale. Il loro focus principale è la storia, la storia locale, le belle arti, nonché le case-museo commemorative di figure di spicco della cultura e dell’arte.

I manufatti presentati a Tricase provenivano da Rishton o Rishdan, città nella regione orientale di Fergana, ai confini con il Kighizistan. La ceramica di Rishton è celebre in tutto il mondo per la sua bellezza e la perfezione delle sue forme. Ogni pezzo è unico, frutto dell’abilità dei maestri ceramisti che riescono a plasmare l’argilla con maestria e passione. Le creazioni di Rishton sono caratterizzate da una grande varietà di forme e decori, dai motivi floreali alle scene di vita quotidiana.

Gli artigiani uzbeki creano da oltre ottocento anni piatti, tazze e oggetti in ceramica grazie a un’esperienza tramandata da generazioni e ad una fortunata coincidenza geologica. Il sottosuolo della regione uzbeka è un grande deposito di pura argilla tanto perfetta da non richiedere l’aggiunta di additivi. Oltre all’argilla, gli artigiani hanno a disposizione anche il quarzo e altri minerali ottenuti dalle montagne dei dintorni. La produzione attuale prevede il recupero delle antiche tecniche di lavorazione e della tipica decorazione a linee blu e grigie in smalto tradizionale detto iskor, realizzato con le ceneri degli arbusti locali.

Le opere si distinguono per l’alta fattura, la bellezza delle forme, la magia delle decorazioni, l’armonia e il sapiente senso di proporzione nell’uso dei colori. Nei tanti bazar delle città dell’Asia Centrale sono posti in vendita i raffinati prodotti in ceramica di Rishton, gli stessi che, per alcune settimane, è stato possibile ammirare nel comune salentino.

 Vincenzo Legrottaglie

 

Fotografia: Moschea in Uzbekistan, foto tratta dal sito dell’Ambasciata della Repubblica dell’Uzbekistan in Italia.