Stop al bando delle immatricolazioni delle automobili endotermiche
A Strasburgo il 14 febbraio scorso l’assemblea plenaria del Parlamento europeo aveva approvato in seconda lettura il testo provvisorio sottoscritto nel novembre del 2022 dal Consiglio dell’Ue (tranne la Polonia dichiaratasi contraria e la Bulgaria che si è astenuta) sulla messa al bando delle immatricolazioni delle automobili e dei furgoni con motore endotermico, cioè, a benzina, diesel, gpl, metano e ibride, in quanto veicoli che emettono allo scarico la famigerata CO2. C’è da sapere che il suddetto bando, che doveva iniziare dal 2035, riguarda i grandi produttori di automobili; sono invece esonerate dal divieto le piccole case automobilistiche che costruiscono meno di mille auto termiche l’anno. La norma fa parte del pacchetto di misure, otto in totale, denominate “Fit for 55”, “Pronti per il 55 %”, che puntano alla riduzione, appunto, del 55 % rispetto al 2021 dei gas serra dell’Ue entro il 2030, e a rendere quest’ultima climaticamente neutra entro il 2050. La messa al bando andava in tale direzione e, come accennato sopra, sarebbe dovuta iniziare l’1 gennaio 2035 nei 27 Stati europei. Sembrava ormai cosa fatta, tant’è che il 7 marzo scorso ci sarebbe dovuto essere la ratifica finale del Consiglio europeo e come ultimo atto la successiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Ue. La presidenza svedese dell’Ue però è stata costretta a rimandare il voto a data da destinarsi, poiché ai precedenti veti della Polonia e della Bulgaria si erano aggiunti quelli dell’Italia e della Germania. Inoltre, su iniziativa del Ministro ceco che ha organizzato lo scorso 13 marzo a Strasburgo una riunione tra i rappresentanti dei vari Governi, invitando anche la Commissione Ue che però ha declinato l’invito, il fronte dei no si è allargato anche con la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Romania, la Slovacchia e il Portogallo.
La Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni ha dichiarato che ogni Stato deve rimanere libero di decidere la sua strada nella lotta ai cambiamenti climatici. Infatti, il 28 febbraio scorso il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica italiano (MASE) Gilberto Pichetto, in vista della riunione degli ambasciatori dei Paesi dell’Ue, ha annunciato di essere contrario alla misura perché l’Italia non sarebbe ancora pronta per una simile transizione ecologica che ritiene economicamente insostenibile in quanto comporterebbe la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, dato che la costruzione di auto elettriche richiede meno manodopera. Considerato poi il prezzo dell’auto elettrica, che è del 50 % più alto rispetto all’equivalente termico, la misura risulterebbe anche socialmente iniqua, poiché la mobilità privata si trasformerebbe in un lusso per pochi. Infatti, il governo tedesco intende spingere l’Europa ad adottare una regolamentazione più articolata che tenga conto anche dell’idrogeno, dei biocarburanti e degli e-fuels (carburanti di origine sintetica). Carburanti che in linea di principio non sono esclusi dal provvedimento, giacché quest’ultimo bandisce solo i veicoli che allo scarico emettono CO2; e i predetti carburanti a quanto pare non ne produrrebbero. Il condizionale è d’obbligo perché essi sono ancora in fase di sperimentazione e, in particolare gli e-fuels dei quali si parlerà più avanti più in dettaglio, potrebbero sostituire in toto i carburanti fossili.
Chiaramente, lo scopo principale non è salvaguardare gli e-fuels bensì le immatricolazione delle auto endotermiche ben oltre il 2035, dato che il mercato e l’indotto di quest’ultime vale il 35% del Pil tedesco e il 20% di quello italiano. Insomma, se si riuscisse a produrre e-fuel a impatto climatico zero e ad un prezzo competitivo, oltre a salvare il settore dell’automotive tradizionale (specie quello del nuovo motore Euro 7 che entrerà in vigore dall’1 luglio 2025, osteggiato dalle case automobilistiche perché dovrebbero interromperne la produzione già dal 2035, senza avere avuto così il tempo di recuperare gli investimenti), si salverebbero anche le infrastrutture che vi ruotano intorno, comprese le officine meccaniche, le autocisterne, le stazioni di servizio e il personale addetto. Dunque, perché non dare una possibilità a questi carburanti innovativi? Tanto più che il provvedimento dell’Ue prevede una clausola di revisione nel 2026, cioè la possibilità di rivedere il “Fit for 55” sulla base dei risultati della sperimentazione dei predetti carburanti rinnovabili: sperimentazione che in tre anni dovrebbe riuscire nell’impresa dell’emissione zero gas serra al pari del motore elettrico. Con i veti già acquisiti di Italia, Polonia e Bulgaria e l’aggiunta di quello della Germania ancora titubante, si formerebbe la cosiddetta “minoranza di blocco” che è appunto di quattro Stati membri. In tal caso l’Ue dovrebbe rivedere il suo attuale orientamento che sembra premiare quasi esclusivamente il motore elettrico, forse pressata dalle lobby che su quest’ultimo hanno investito molto denaro, e dovranno investirne ancora per migliorare alcune problematiche dell’auto elettrica (che non è soltanto l’alto prezzo di acquisto) e delle quali si parlerà un po’ più avanti.
I carburanti sintetici e-fuels si ottengono combinando chimicamente l’anidride carbonica con l’idrogeno estratto dall’acqua tramite elettrolisi. Ovviamente, l’elettricità usata in tale processo deve provenire da fonti di energia rinnovabile per conferire la certificazione verde all’idrogeno prodotto. Per completare il processo necessita poi una seconda fase dove l’idrogeno verde si combina con la CO2 presente nell’atmosfera. Alla fine di questi due processi si ottiene metanolo sintetico che con differenti metodi di raffinazione viene trasformato in e-benzina, e-gasolio, e-gas e in e-kerosene. In tal modo l’e-fuel si guadagna l’etichetta di carburante ad emissione neutrale, cioè, la CO2 prodotta verrebbe compensata da quella sottratta all’atmosfera nella seconda fase del ciclo sopra descritto. Continueranno però ad emettere ossidi di azoto e particolato, anche se, afferma la lobby favorevole agli e-fuels, in misura significativamente inferiore rispetto ai carburanti tradizionali. Altri pensano che in tal modo non ci sarebbe una reale transizione ecologica, dato che gli e-fuels sono carburanti meno efficienti e con impatto ambientale superiore rispetto all’elettrico. Insomma, queste sono le due diverse visioni nel concepire la transizione ecologica: auto elettriche o endotermiche alimentate da e-fuels. Al momento però non si può capire quanto queste visioni siano obiettive e disinteressate, poiché provengono, appunto, da due contrapposte lobby. In ogni caso mi sembra giusto attendere i risultati della sperimentazione, perché la difficile lotta ai cambiamenti climatici richiede un apporto creativo quanto più ampio e autonomo possibile.
Un altro ristretto gruppo rappresenta da tanto tempo il settore del trasporto alimentato dall’idrogeno verde, sia che esso sia terrestre, marino o aereo. In effetti i motori a idrogeno emettono allo scarico soltanto vapore acqueo. Il problema per il suo pieno sviluppo consiste nella grande quantità di energia elettrica, esclusivamente di origine rinnovabile, necessaria all’elettrolisi, cioè quel processo di separazione dell’idrogeno dall’ossigeno contenuto nell’acqua. Se si riuscisse a rendere la produzione economicamente sostenibile, l’idrogeno potrebbe diventare il carburante del futuro. Come pure i due isotopi dell’idrogeno, il deuterio e il trizio, potranno essere usati su larga scala nella fusione nucleare, che è lo stesso processo che avviene nel nostro sole e in tutte le altre stelle, per un futuro energetico realmente sicuro e green. Infatti, l’energia elettrica che servirebbe nel mondo, compresa quella che servirebbe nel processo dell’elettrolisi per produrre tutto l’idrogeno che servirebbe nel settore dei trasporti, sarebbe totalmente pulita e praticamente inesauribile. Ci vorranno ancora molti anni però prima che si riesca a produrre molta più energia rispetto a quella impiegata per fondere i nuclei di idrogeno all’interno di un particolare reattore nucleare chiamato Tokamak a confinamento magnetico. Il plasma così prodotto, che ha una temperatura di dieci milioni di gradi centigradi, viene confinato al centro del reattore per non toccare le sue pareti che altrimenti fonderebbero, grazie al campo magnetico generato da elettromagneti esterni alla camera di combustione. Viceversa, continuare ad investire sulla fissione degli atomi è molto più rischioso e molto meno ecologico, come testimoniano i due più disastrosi incidenti nucleari della storia: Chernobyl e Fukushima. Questo perché la fissione dell’uranio produce una reazione a catena, o effetto valanga, che in un eventuale guasto del sistema di raffreddamento del nucleo del reattore, comporta l’esplosione di quest’ultimo e la fuoriuscita di fumi e polveri radioattive pericolosissime per la salute. Inoltre, un altro problema sono lo scorie radioattive che tali rimangono per centinaia di milioni di anni se viene usato l’isotopo 235, e addirittura per 4,5 miliardi di anni se si usa l’uranio-238, le quali devono essere sepolte in particolari siti di stoccaggio che dovrebbero rimanere impermeabili per tutto questo tempo. Chi potrà mai darci una simile garanzia? Un’altra criticità della fissione nucleare è il costo crescente di questo pericoloso metallo, dato che i suoi giacimenti sono esauribili. Si pensa che possa bastare soltanto per altri 70 anni; ma, chiaramente, se si intensifica la costruzione di centrali nucleari (ora ci sono quelle di 4^ generazione che comprendono anche gli SMR, Small Modular Reactor) per combattere i cambiamenti climatici, poiché la fissione non emette gas serra, tale durata scenderebbe parecchio.
Ritornando alla messa al bando dei motori endotermici, anche fuori dal vecchio continente moltissimi Paesi intendono attuarla. Entro il 2035 lo faranno i Paesi più avanzati ed entro il 2040 quelli con minor crescita economica. Ci sono poi Paesi particolarmente virtuosi come Svezia, Regno Unito, Olanda, Danimarca, Islanda e Israele, che addirittura anticiperanno al 2030 tale blocco, mentre la Slovenia lo farà entro il 2031. Tutto questo, ovviamente, non significa che di colpo un parco auto mondiale composto da circa 1,3 miliardi di unità non potrà più circolare. Continueranno a circolare e a vendersi nel mercato dell’usato tutte quelle immatricolate prima di tali date, almeno fino a quando non saranno da rottamare per raggiunta anzianità. Dunque ce ne vorrà di tempo prima che l’ultima macchina con motore a scoppio smetterà di circolare rumorosa e irriverente nel sacro silenzio del traffico dei veicoli elettrici e comunque, come abbiamo visto sopra, ad oggi pur sempre un po’ inquinante, anche quando sarà alimentata con e-fuel. E’ facile intuire che i veicoli termici circoleranno ancora almeno altri 20 o 30 anni dopo la fatidica messa al bando, sempre che questa si avvererà considerati i parecchi veti, quindi anche oltre il 2050 o il 2060, specie se l’ultimo guidatore sarà un irriducibile tradizionalista molto affezionato al suo cimelio.
Comunque, ad oggi si sa con certezza che il motore elettrico è molto più efficiente di quello endotermico, che è totalmente silenzioso e con zero emissioni di CO2. In tale computo però ci sono da aggiungere le emissioni di CO2 generate nel ciclo estrattivo e produttivo delle batterie al litio che alimentano i motori elettrici. Queste batterie sono composte appunto da litio, cobalto e alcune Terre Rare o REE (Rare Earth Elements), cioè un gruppo di diciassette elementi chimici che, grazie alle loro eccellenti caratteristiche elettrochimiche, magnetiche e ottiche, servono anche per la produzione di molteplici dispositivi elettronici di uso comune quali smartphone, touchscreen, hard disk dei computer, pannelli solari e tanto altro. Inoltre c’è da considerare anche l’inquinamento delle falde acquifere provocato dalle sostanze tossiche usate nel processo di estrazione del litio. Un altro problema è lo squilibrio idrico conseguente all’enorme quantitativo di acqua utilizzata in tale processo. Squilibrio che comporta siccità e desertificazione. Anche la produzione dei microchip per auto, che sono fatti di silicio, ferrite e rame, contribuisce all’innalzamento della CO2 nell’atmosfera.
Considerando inoltre i problemi di natura geopolitica che inevitabilmente sorgono nell’approvvigionamento dei summenzionati minerali di cui sono ricche solo poche regioni nel mondo, quasi quasi verrebbe da pensare che lo sviluppo dei motori a idrogeno sia la soluzione migliore, sia dal punto di vista della dislocazione pressoché uniforme nel globo della materia prima, cioè, il mare, i fiumi, le cascate, ecc., che da quello dell’impatto ambientale. I produttori occidentali delle batterie e delle auto elettriche, preoccupati del monopolio e della conseguente sudditanza con l’Asia e in particolare della Cina che fornisce all’Ue il 98 % delle Terre Rare e produce i tre quarti delle batterie del mondo, si stanno unendo e organizzando per assicurarsi l’estrazione diretta di simili preziosi e indispensabili minerali per la moderna tecnologia. Di ciò abbiamo contezza nel considerare le difficoltà di reperimento dei microchip per le automobili nuove. Difficoltà seguite al blocco della produzione avvenuto nel corso della pandemia e, ora, a causa della guerra in Ucraina. Sono necessari tempi biblici, anche di un anno, per le consegne delle auto nuove. A ciò è conseguita l’impennata del mercato delle auto usate.
A proposito di efficienza di un motore, esaminiamo ora meglio l’argomento. Essa è data dal rapporto tra l’energia in entrata e quella in uscita, e qui il motore elettrico batte abbondantemente l’endotermico. Per l’elettrico l’efficienza è compresa tra l’80 % e il 90%, mentre per l’altro è del 30% se si tratta di motore a benzina e del 40% se è diesel; fra l’altro i valori di quest’ultimi si riferiscono alle auto più evolute. L’endotermico perde anche rispetto alle emissioni di CO2 che in 150 anni di esistenza ha contribuito massicciamente all’aumento della temperatura del Pianeta e quindi ai cambiamenti climatici e alle sue disastrose conseguenze. L’auto elettrica però perde tutt’oggi il confronto sia sul prezzo di acquisto come già detto, superiore di circa il 50% rispetto alle auto convenzionali equivalenti, sia nella sua limitata autonomia, mediamente di 300 Km, che diminuisce sensibilmente se si pigia il piede sull’acceleratore o si accende l’aria condizionata. Perde anche nei tempi troppo lunghi di ricarica: mezz’ora, un’ora o anche due a seconda della potenza della stazione di ricarica e di altre variabili, e addirittura otto ore da una presa domestica. Il costo del pieno però è inferiore di quello dei carburanti fossili, circa quattro euro per 100 km, almeno finché il prezzo dell’elettricità rimarrà accettabilmente stabile. Se circoleranno però in futuro molte più macchine elettriche, servirà parecchia energia elettrica e per soddisfarne la crescente domanda si dovrà potenziarne la produzione, ovviamente con fonti rinnovabili. I sostenitori delle auto elettriche prevedono però che le su esposte criticità verranno ampiamente risolte nel corso degli anni. L’autonomia progredirà fino a 1.000 km, i tempi di ricarica si ridurranno a qualche minuto e il prezzo della macchina scenderà parecchio. Anche il costo della batteria si ridurrà, al momento esosissimo, nell’ordine di parecchie migliaia di euro, a seconda del modello; e aumenterà anche la sua durata che al momento è garantita per un massimo di otto anni, che comunque verrà ampiamente riciclata.
Ovviamente noi convinti ecologisti ci auguriamo che verranno rapidamente trovate le migliori soluzioni per abbattere il 100% dei gas serra prodotti dai veicoli e dalla produzione dell’energia elettrica, senza nessuna preclusione sulle modalità ma possibilmente in tempi ragionevolmente brevi, giacché l’inversione dei cambiamenti climatici richiederà molto tempo e noi ne abbiamo ogni giorno che passa sempre di meno.
Angelo Lo Verme