Dal bambino che disturba al bambino con disturbi

“Ha pensato di far valutare suo figlio da uno specialista?”. È questo il trend tutto americano che si sta diffondendo sempre di più nei paesi industrializzati, Italia compresa.

E’ in atto una pandemia di casi diagnosticati.

Secondo un’indagine Istat del 2021, in 5 anni sono raddoppiate le diagnosi di dislessia. Quasi triplicate quelle per disgrafia. Non va meglio per le diagnosi di autismo. Casi quintuplicati negli ultimi 20 anni.

Ma qual è la causa? C’è una polemica in corso sui disturbi dell’apprendimento.

Sono tanti gli interrogativi che in massa i professionisti del settore si pongono.

Per dirla come il pedagogista Daniele Novara “Non esiste più il bambino che disturba ma il bambino con disturbi”.

Dagli anni ’70 si è verificato un aumento esponenziale dei casi di autismo. Si passa da 4 su 10000 a 250 su 10000 (USA). E allora la domanda sorge spontanea: sono tutti DSA o sono i docenti che non hanno le giuste competenze o gli strumenti per insegnare? Come denuncia il neuropsichiatra infantile Michele Zappella, nel suo libro ‘Bambini con l’etichetta. Dislessici, autistici, iperattivi: cattive diagnosi ed esclusione”, è anche una questione di business.

 Tragico lo scenario delle conseguenze che le neurodiagnosi hanno sulla vita di chi le subisce. Il bullismo è una di queste. Insieme alla quasi assente privacy a tutela di famiglie e bambini, queste ‘etichette’ vengono spiattellate in pubblico. E l’identità del bambino cambia. Per lui e per gli altri.

Se educare significa ‘credere nelle potenzialità del bambino utilizzando strumenti e processi con l’obiettivo di stimolare favorire e sostenere l’apprendimento’ [Daniele Novara – Non è colpa dei bambini] cosa può fare la scuola italiana per agevolare questo meccanismo?

C’è chi parla di medicalizzazione della scuola, chi di patologizzazione dell’infanzia. Tutte definizioni legate da un unico filo conduttore. Non c’è rispetto per i tempi e le vite dei più piccoli. Per una società che corre, in cui performare è la mission quotidiana, non c’è tempo per l’inclusione. Non c’è tempo e forse nemmeno la voglia.

Lucia Ricchitelli