La mancanza di mira non discolpa

Lanciava sassi contro alcuni cani, ignaro che un impianto di videosorveglianza lo riprendesse. E ad inchiodarlo sono stati proprio i video che hanno dimostrato la palese volontà dell’uomo di colpire gli animali.

La Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza del Tribunale, aveva ridotto la pena inflitta all’imputato per il reato di cui agli art. 56 e 544-ter c.p., ovvero tentato maltrattamento di animali ai danni dei cani che stavano sul terrazzo dell’abitazione della parte civile.

La difesa dell’uomo è ricorsa in Cassazione sulla base di tre motivi.

Con il primo ha lamentato la violazione di legge e la violazione di norme processuali perché erano state utilizzate nel processo le immagini degli impianti di videosorveglianza privata installati illegittimamente.

Con il secondo ha asserito che la condanna era stata basata su un quadro probatorio incompleto.

Con il terzo ha denunciato la violazione di legge e il vizio di motivazione perché, secondo loro, la parte civile non aveva subito un danno e non aveva diritto alla liquidazione delle spese nella misura di 2.340 euro, ma nella minor somma di 1.620 euro.

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Suprema Corte con sentenza della sez. III – 23/11/2022, n. 12001, depositata il 22 marzo 2023.

Quanto al primo motivo, gli Ermellini hanno precisato “che le riprese video allegate alla denuncia-querela non sono soggette alla disciplina delle intercettazioni e costituiscono invece prove documentali legittimamente acquisibili ai sensi dell’art. 234 c.p., mentre la tutela della riservatezza non è assoluta, ma sub-valente rispetto all’esigenza di acquisizione probatoria propria del processo penale”.

In merito al quadro probatorio, i Giudici hanno asserito che “dai filmati si potevano individuare distintamente i lanci di sassi contro i cani, provenienti da soggetto che la parte civile aveva riconosciuto senza dubbio essere l’imputato”. Non solo, ma “la Corte territoriale ha poi ricostruito in maniera approfondita il dolo diretto e intenzionale della condotta delittuosa, osservando che l’imputato si era avvicinato allo spazio sottostante il terrazzo e aveva mirato il lancio in alto, con l’obiettivo inequivoco di attingere i cani”. Gli elementi raccolti, quindi, sono stati ritenuti sufficienti per affermare la colpevolezza dell’uomo indipendentemente dall’avere o meno colpito gli animali.

Infine, in merito al terzo motivo, quello relativo al risarcimento della parte civile, è stato ritenuto “privo di consistenza” poiché “ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, non è necessaria la prova della concreta esistenza di danni risarcibili, essendo sufficiente l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente”. Come dire: silenzio e paga!

Ciro Troiano