Avalon – La pièce della “Compagnia del Tempo Relativo” apre la “Primavera Racalmutese”
“Avalon” è il titolo della pièce teatrale rappresentata dalla “Compagnia del Tempo Relativo” domenica sera del 16 aprile al Teatro “Regina Margherita” di Racalmuto. Un vero piccolo gioiello incastonato nell’area che un tempo fu il giardino del Monastero di Santa Chiara del 1605. Progettato dall’Architetto Dionisio Sciascia, allievo di Filippo Basile, fu completato in dieci anni e venne inaugurato il 9 novembre del 1880. E’ considerato “il Massimo in miniatura”, probabilmente perché il progettista del monumentale Teatro Massimo di Palermo, l’architetto Filippo Basile (alla cui morte subentrò il figlio Ernesto per completarne i disegni e la realizzazione), per l’acustica adottò gli studi sviluppati per il Teatro di Racalmuto dall’Architetto Sciascia.
“Avalon” è stata la prima delle quattro rappresentazioni previste nell’ambito della “Primavera Racalmutese” organizzata dal Comune di Racalmuto e dalla Fondazione “Leonardo Sciascia”. Seguiranno in tutto il mese di aprile le altre tre pièce in cartellone: il 22 “Shoichi Yokoi”, regia di Francesco Oliva; il 23 “La scomparsa di Maiorana”, regia di Fabrizio Catalano; il 29 “L’uomo che ebbe due funerali”, regia di Carmelo Rappisi. Il Sindaco di Racalmuto Vincenzo Miraglia e l’Assessore alla Cultura Ivana Mantione hanno assistito alla rappresentazione; alla conclusione della quale sono stati invitati sul palcoscenico dalla regista Lella Falzone. Entrambi hanno espresso parole di apprezzamento per i giovani attori della Compagnia, elogiandone la passione e la serietà, frutto dell’impegno costante richiesto inevitabilmente per chi sceglie questo percorso artistico.
Il Sindaco, conscio del valore dell’arte teatrale e dell’arte in genere, intende continuare a mantenere aperto, fruibile e vivo questo gioiellino architettonico, con varie iniziative culturali già in itinere. Tutto ciò oggi è ancor più meritorio rispetto al passato, quello considerato “delle vacche grasse” appunto, se si considerano le molteplici difficoltà che assillano gran parte dei comuni italiani. Il Teatro come simbolo palpitante di quella vita ordinaria che viene rappresentata e sublimata su ogni palcoscenico che si rispetti. Il Teatro quale “produttore di manufatti culturali”, dei quali, intanto si nutrono le anime, e poi è ancora tutto da dimostrare che con la cultura non si mangia, come disse più o meno candidamente qualcuno anni fa. Il grande scrittore racalmutese Leonardo Sciascia si sarà rivoltato nella tomba quando è stata pronunciata simile improvvida frase. Egli e anche noi sappiamo quanta cultura e consapevolezza hanno movimentato le sue straordinarie opere letterarie, come pure quelle di tantissimi altri grandi scrittori e grandi artisti in generale.
Ad ogni modo, tornando alla “Avalon” della rappresentazione, essa è una pièce ascrivibile al genere distopico ed è stata scritta a quattro mani dalla regista della “Compagnia del Tempo Relativo” Lella Falzone e dal sottoscritto. Il titolo trae chiaramente ispirazione dalla leggendaria isola di Avalon, che studiosi farebbero coincidere con Glastonbury Tor, una collina che si trova nell’omonima città inglese della contea del Somerset e che un tempo era circondata dal mare, dove sarebbe stato sepolto il mitico re Artù. Avalon inoltre è considerata la sede dell’Altro Mondo, una sorta di “Isola dei Beati”, probabilmente perché nella lingua bretone “aval” significa mela che nella tradizione druidica è, appunto, un frutto collegato all’esistenza ultraterrena. La Avalon messa in scena al Teatro Regina Margherita è un luogo immaginifico situato geograficamente in una zona indistinta del nostro pianeta e temporalmente nell’anno 2157. Luogo ripopolato in parecchie decine di anni dai pochi sopravvissuti della disastrosa Terza guerra Mondiale combattuta con armi nucleari. Costoro, per scongiurare un’altra guerra che probabilmente avrebbe annientato ogni forma di vita sulla Terra, concepiscono una società rigidamente controllata da un potere tirannico onnipresente. Esso, gradualmente, con l’ausilio di efficienti androidi e con l’utilizzo di farmaci somministrati alla popolazione, ma anche con l’innesto sottocutaneo di particolari microchip fin dalla più tenera età e un subdolo indottrinamento basato sull’abolizione di determinati vocaboli, tende a sopprimere le emozioni e il libero arbitrio dell’uomo: peculiarità considerate da siffatto governo post bellico la causa dei conflitti sociali e delle guerre.
Prima viene abolita la parola musica; poi le parole pensione, speranza, sogno, amore e così via tutti quei lemmi del vocabolario universale che evocano emozioni e sentimenti. In tal modo emerge un sistema allucinante che riduce le persone a spenti automi capaci solo di obbedire ciecamente agli ordini del loro subdolo governo, che attraverso dei test si arroga finanche il diritto di selezionare le coppie maggiormente compatibili fra loro, secondo il programma “happy family”, per farli sposare, riprodurre come animali da allevamento, imporgli lavori utili per il mantenimento di simile società e di determinarne addirittura il fine vita quando diventano un peso per essa avviandoli ai programmi chiamati con romantico eufemismo “happy and”. Insomma, il regime, attraverso i suoi algidi e disumani precetti, mostra ogni giorno di più il suo vero volto: quello del classico rimedio che si rivela peggiore del male che vorrebbe prevenire.
Infatti, non tutta la popolazione accetta di sottostare ad un sistema così tanto repressivo e disumanizzante. C’è chi si ribella ad esso, conducendo una dura e povera esistenza da clandestini, esposti costantemente al rischio di venire catturati e lobotomizzati con particolari scariche elettriche, o anche assassinati dagli spietati e ben equipaggiati poliziotti al servizio del sistema, sempre coadiuvati da avveniristici robot e droni intelligenti connessi con il SOIA, acronimo di “Sistema Operativo di Intelligenza Artificiale”. Questi ribelli preferiscono di gran lunga vivere da reietti e rischiare ogni giorno la loro vita pur di rimanere liberi di amare, di provare emozioni, di ascoltare musica, di leggere i libri proibiti e di combattere per la loro libertà con atti di sabotaggio ai moderni sistemi informatici del SOIA e disattivare in tal modo tutti i marchingegni anti-ribelli. Il governo definisce sprezzantemente con la parola “invisibili” gli eversivi che intendono insidiare siffatto ordine costituito, alludendo alla loro inesistente vita da clandestini, secondo la sua visione repressiva della società, combattendoli con ogni mezzo.
La vita degli allineati invece è scandita ogni giorno dall’adempimento dei loro doveri nei confronti della collettività, senza mai maturare la cognizione dei loro diritti e quindi privi della capacità di rivendicare ciò che ignorano del tutto: la libertà, l’autodeterminazione, il libero arbitrio, la speranza in un cambiamento, il sognare una vita più gratificante e persino l’amore. Ogni mattina costoro sono obbligati ad ascoltare la voce di un androide che gli pianifica la giornata e la vita. Ad esempio: “Buon giorno, oggi 23 giugno 2157, c’è una magnifica giornata e il sole splende su Avalon. Vi invito a prendere visione sul nostro sistema operativo Halley 21, dei vostri impegni lavorativi e a recarvi rapidamente nella aree prestabilite. Oggi è la giornata dedicata alla distribuzione dell’acqua potabile. Mi raccomando, controllate la vostra App che vi indica l’ora esatta in cui dovete essere al centro di distribuzione per non creare inutili assembramenti. Ricordate che alle ore 20.30 è proibito uscire dalle vostre residenze se non per casi di estrema necessità, uscita che deve essere autorizzata dalle Autorità preposte. Almanacco del giorno: oggi ricorre l’anniversario della nostra prima colonia su Marte. Un augurio va a tutti i nostri concittadini che sono stati selezionati dal SOIA in base a parametri vitali e psicologici stabiliti per colonizzare Marte. Nel nostro vocabolario universale oggi è stata cancellata la parola speranza.”
Certo, tentare di prevenire le guerre è un gesto nobile; ma, anche al costo di snaturare l’essere umano? C’è da chiedersi se noi oggi, umanità quasi preistorica rispetto al futuro narrato nella pièce, accetteremmo mai una simile schiavitù in cambio di una vita totalmente priva di pensieri e teleguidata, con un lavoro sicuro e una vita tranquilla, al riparo dalle emozioni e da tutti quei sentimenti che in un certo senso “sconvolgono” l’esistenza del genere umano. Semplici scimmie subdolamente ammaestrate come algidi automi. In effetti, tale narrazione evoca foscamente qualcosa che è già successa o che succederà. O forse sta già succedendo in questo nostro presente ma non ce ne rendiamo ancora conto?! Può darsi. Peccato però che le guerre continuano a sussistere ancora numerose in tanti luoghi del pianeta! Un mondo di scimpanzé un po’ più eretti e più intelligenti (si fa per dire), oggi capaci di costruire armi sempre più micidiali, come la bomba atomica, e che si fanno da millenni la guerra. Esserini eretti che sono rimasti istintivamente ancorati ai loro lontani progenitori che avanzano un po’ più curvi nella foresta e usano le mani ma anche i bastoni e le pietre per combattersi al fine di aggiudicarsi una femmina o il cibo migliore.
Angelo Lo Verme