Alla faccia della Tenuità del fatto

Lasciare alcuni cuccioli di cane davanti a un canile integra il reato di abbandono di animali, poiché, indipendentemente dal posto in cui si verifica, l’abbandono si concretizza nel distacco volontario dall’animale domestico. Così la Cassazione con una sentenza depositata alcuni mesi fa (Cass. Pen. sez. III – 16/11/2022).

Il Tribunale di Foggia, nel novembre del 2021, aveva condannato un uomo alla pena di 650,00 euro di ammenda ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 727 c.p. (Abbandono di animali) per aver abbandonato sei cuccioli di cane davanti ad un canile. Contro la condanna l’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso, sostenendo che la condotta di lasciare dei cani davanti ad un canile, ovverosia presso un luogo istituzionalmente deputato a prendersi cura di tali animali, fosse del tutto inidonea a configurare il reato di abbandono, poiché non vi era stata trascuratezza o disinteresse verso l’animale, atteso che i cuccioli erano stati lasciati in un posto dove sarebbero stati subito accuditi. L’imputato ha anche lamentato che non vi era prova che i cuccioli fossero suoi e che il Tribunale non aveva riconosciuto la causa di non punibilità per la “particolare tenuità del fatto”.

Gli Ermellini hanno esaminato i primi due motivi ritenendoli infondati: «Risulta in primo luogo in stridente contrasto con la corrente interpretazione giurisprudenziale la allegazione secondo la quale la condotta ascritta all’imputato, consistita nell’aver lasciato dei cuccioli davanti ad un canile, non integri l’abbandono previsto dall’art. 727 c.p., comma 1. Ed invero, indipendentemente dal luogo in cui avviene, la condotta dell’abbandono, avuto riguardo al bene giuridico tutelato dalla norma costituito dalla salvaguardia del sentimento di comune pietà e di educazione civile nei confronti degli animali nel rispetto delle leggi biologiche, fisiche e psichiche di cui ognuno di essi nella sua specificità è portatore, si sostanzia nel distacco volontario dell’animale domestico che, essendo, nel caso del cane, per la sua stessa natura capace di affezione all’uomo e al contempo bisognevole di accudimento specie se in tenera età, viene improvvisamente a trovarsi in condizioni che ne mettono a repentaglio la sua stessa possibilità di sopravvivenza. Condizione questa che si verifica anche quando l’abbandono degli animali avvenga davanti ad un canile il cui addetto ne abbia rifiutato l’accettazione, posto che tale rifiuto, a meno di non integrare un illecito in difetto delle condizioni legittimanti la mancata presa in consegna, non assicura in alcun modo a colui che si disfa dell’animale che la struttura se ne possa prendere cura in sua vece. Deve perciò ritenersi al contempo integrato l’elemento soggettivo, costituito dalla libera e cosciente volontarietà della condotta di abbandono, rivelatore dell’indifferenza nei confronti degli animali da parte del soggetto con il quale convivono».

Il ricorso, ahinoi, è stato ritenuto, invece, meritevole di accoglimento con riferimento al mancato esame dell’applicazione della tenuità del fatto, poiché la difesa al momento della precisazione delle conclusioni aveva formulato espressa richiesta di applicazione di tale istituto, «senza che tuttavia il Tribunale, che pure ha optato per la pena pecuniaria applicandola in corrispondenza del minimo edittale, abbia fornito alcuna risposta sul punto».

C’è da registrare, purtroppo, che l’applicazione dell’istituto della tenuità del fatto, che prevede la non punibilità per condotte illegali la cui offesa, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, non è ritenuta grave, nonostante sia stabilito chiaramente che l’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità “quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali”,  trova pericolosamente sempre maggiore applicazione per i reati a danno di animali.

Emblematico questo precedente: dichiarazione di non doversi procedere perché non punibile per particolare tenuità del fatto nei confronti di una persona accusata di maltrattamento di animali perché «cagionava a un cane lesioni consistite in “dolorabilità lungo tutta la colonna vertebrale, imponente edema sottocutaneo a livello di ala ischiatica ed evidente stato di shock”, colpendolo mentre passeggiava sul marciapiede a seguito del padrone, con violenti calci che lo scaraventavano ad alcuni metri di distanza».  Il dolore provato dalla vittima non è stato per nulla preso in considerazione e c’è da chiedersi quale sarebbe stata la decisione se al suo posto ci fosse stato un umano. Più che un non luogo a procedere si tratta di un ingiusto non procedere.

A parere dello scrivente ogni atto che viola l’integrità psicofisica degli animali può essere considerato un atto crudele poiché si può incrudelire anche per sola insensibilità, crudezza o durezza di animo. Il bene tutelato dalla norma viene offeso ogni volta che si consumano condotte che incidono sulla sensibilità dell’animale, producendo patimenti, e pertanto idonee a destare ripugnanza. Nel sentire comune l’animale non è più considerato un oggetto, una cosa inerte di cartesiana memoria, ma un essere vivente, dotato di sensibilità psico-fisica, che reagisce positivamente alle attenzioni amorevoli dell’uomo, ma anche negativamente, con sofferenza, all’incuria, alla trascuratezza o, peggio, alla violenza. Quindi non soltanto dolori fisici, ma anche sofferenze di indole psichica per effetto di privazione dei rapporti affettivi.

È il momento di considerare l’animale maltrattato come vittima e di attuare politiche giudiziarie ispirate a tale principio. Questo, per noi, è il bene da tutelare, prima di ogni altra considerazione. Altro che Tenuità del fatto.

Ciro Troiano