Me ne frego! Eia,eia, alalà! Nostalgico pericolo
Se il centro-destra, sotto la spinta di Giorgia Meloni, “americana a Roma” più di Alberto Sordi nel film di Steno, non avesse abbandonato le sue “sane” e ben motivate diffidenze per un’Unione Europea, giustamente ritenuta volta più a impedire la crescita economica dei Paesi europei che non a favorirla (secondo una coerente visione americano-centrica del mercato occidentale) Giancarlo Giorgetti e Raffaele Fitto non si sarebbero lamentati del fatto che le nuove regole del patto di stabilità avrebbero impedito gli investimenti in Italia e che gli obiettivi del Pnrr sarebbero tutti da riesaminare.
L’unica persona politica che non sembra preoccuparsi delle iniziative di Bruxelles è la Presidente del Consiglio italiana che dalle pagine del “Corriere della sera” profetizza, intendendo con ciò rincuorare gli Italiani: “Investite sull’Ucraina, vincerà!”
Naturalmente se i suoi Ministri Giorgetti, Fitto e qualche altro, piangono, Zelenski sorride e ringrazia.
Dal suo canto, il Presidente della Repubblica Italiana, in un’encomiabile afflato d’intesa istituzionale, esprime il voto che il Paese in guerra con i Russi entri nell’Unione Europea dopo la vittoria conseguita con il determinante sostegno dei battaglioni Azov.
Nel quadro dell’adesione più sperticata all’Atlantismo, scoperto nel corso di una battaglia elettorale che l’ha vista vincitrice come rappresentante di una minoranza di italiani (nel Paese ma divenuta maggioranza in Parlamento per merito di una “porcata” appresa dal comunista Rosati dal leghista Calderoli) Giorgia Meloni si è recata a Londra dal Premier Sunak, che dimentico del fatto che l’Italia non ha più colonie dove poter mandare quelli che sbarcano sulle sue coste, ma desideroso di avere la sponda di Roma per la sua politica, le parlerà della sua idea di una deportazione in Ruanda degli immigrati che approdano in Gran Bretagna. Versomilmente il premier inglese tenterà di condurla su quel terreno minato, dopo averla lusingata con l’appellativo di vera, autentica e unica rappresentante di una forza “conservatrice” italiana. Qualifica cui la Meloni fortemente ambisce per il suo desiderio incontenibile di restare il più a lungo possibile a Palazzo Chigi, senza che la si ponga continuamente nel fascio di luce o di tenebra di chi governava l’Italia da palazzo Venezia.
Quanto il riconoscimento di appartenere alle forze politiche conservatrici ideologicamente vicine e affini a quelle inglesi, possa fare rivoltare nella tomba il Mussolini “della Repubblica sociale italiana” e “delle ingiurie alla perfida Albione” è difficile dire, soprattutto per chi non creda nell’“aldilà”.
Sembra verosimile, però, che esso sorprenderà non poco nell’“aldiquà” parecchi camerati che si erano abituati a credere nella coerenza, quella “tutta d’un pezzo”, dei fascisti “puri e duri”.
Già essi erano rimasti sconvolti dal “voltafaccia elettorale e dal tradimento palese delle promesse fatte” da una Giorgia Meloni, un tempo feroce oppositrice del “sistema” e di un governo, cosiddetto di “unità nazionale” di cui pur facevano parte i suoi attuali amici di cordata.
Per convincere quei camerati critici, però. Giorgia Meloni ha il repertorio dei detti del Duce.
Mussolini diceva che solo i “duri durano” e che il motto dei veri fascisti dev’essere quello di credere, obbedire… e combattere, magari anche in Ucraina e per Zelenski.
Dulcis in fundo, la pulzella della Garbatella può sempre estrarre dal cilindro fascista un altro celebre motto mussoliniano: “Me ne frego!” facendolo seguire, per renderlo meno duro da un giocoso (ma per lei e per i suoi camerati fortemente “magico”): “Eia, eia alalà!”
Luigi Mazzella