L’aumento degli stipendi bancari
Una delle notizie passate inosservate in questi giorni dominati dalla dipartita di Berlusconi è stata la apparentemente incondizionata approvazione da parte di Banca Intesa della richiesta di aumento di stipendio formulata dai sindacati bancari nell’ambito della trattativa in corso per la revisione del loro contratto collettivo. Non è, come può sembrare, una notizia secondaria.
Il Ceo di Banca Intesa, certo Messina, dichiara che avendo loro realizzato vari miliardi di utili sembrerebbe sgradevole non concedere ai dipendenti quello che chiedono. Dichiarazione che troveremmo nel mondo incantato delle fiabe più che negli intenti dei banchieri. Tant’è che le altre banche trovano questa sortita inopportuna sia per i modi, che per i tempi, che nel merito: la sede delle trattative è l’Associazione bancaria e la decisione dovrà essere collettiva, dicono quelli di Unicredit. Ma Intesa non fa più parte dell’organo di Abi deputato alla contrattazione del lavoro. Quindi è tutto premeditato. Perché?
Come tutte le cose bancarie anche questa non è chiara ed è oggettivamente inattesa. Come mai questa sortita? Proviamo a pensare male e forse indoviniamo.
Punto primo: gli utili di una impresa sono degli azionisti e non sono nella disponibilità dell’Amministratore che invece è stato scelto dagli azionisti per fare i loro interessi; se proprio non sa cosa fare di quei soldi può portarli a patrimonio e avere più mezzi da erogare sotto forma di prestiti; perché non lo fa? quindi questa filantropia di un bancario è quanto meno sospetta. Inoltre gli azionisti di Intesa non sono degli sprovveduti ma anche investitori istituzionali e quindi non è credibile che questa decisione non sia stata definita anche con loro; quindi se nelle prossime ore nessuno di questi azionisti protesta sorge la domanda: ma perché tanta generosità?
Peraltro quella banca non è molto tenera quando si tratta di soldi: fin dai tempi della acquisizione del Banco Napoli non si sono fatti scrupoli nel guardare ai propri interessi anche se comportavano riduzione di personale o andavano a scapito di ignari azionisti e clienti.
Questa spregiudicatezza e spietatezza ha permesso loro di arrivare a profitti significativi anche in tempi tristissimi come gli attuali e quindi può sorgere il dubbio che si voglia aumentare gli stipendi al fine di mettere nelle pesti i concorrenti che si sono attardati nel processo di espulsione di personale e di automazione delle banche stesse; specie le piccole. Questa ipotesi di strategia diviene vieppiù credibile in un contesto di sostituzione accelerata del contante con la moneta virtuale; contesto così caro ai grandi finanzieri come quelli presenti nell’azionariato di Banca Intesa. Inoltre un qualche costo aggiuntivo da sostenere per far fuori alcuni o molti concorrenti come Unicredit o Monte Paschi o le piccole banche locali o anche solo appesantirne i conti può essere considerato un ottimo investimento nella prospettiva di aumentare la fetta di mercato controllata da Intesa fino al quasi monopolio peraltro perfettamente in vista già oggi.
Anche il silenzio delle Istituzioni pubbliche di settore nazionali ed europee la dice lunga sul favore che tale processo di concentrazione estrema del credito gode a Bruxelles, Francoforte, Wall Street, City e Roma.
Punto secondo: la crescita dei profitti a cosa è dovuta visto che il resto del settore sta ancora cicatrizzando antiche ferite? E se proprio si vuole ridurre quella crescita non sarebbe eticamente meglio per una grande banca ridurre commissioni e interessi in modo da contribuire a rilanciare l’economia e quindi svolgere meglio il proprio ruolo sociale ed economico di banca di primaria grandezza? O erogare più credito? Cioè con questa dichiarazione si è dimostrato in un colpo solo disprezzo per gli azionisti, specie piccoli, e per i consumatori-utenti che poi sono i clienti che stanno soffrendo per le variazioni dei tassi che si va ad aggiungere all’aumento dei prezzi. Riducendo commissioni e interessi la banca potrebbe acquisire altro mercato e quindi tendere lo stesso al monopolio ma beneficiando maggiormente i clienti e gli azionisti. Aprendo sportelli e assumendo personale al posto di licenziare. È mai possibile che non ci abbiano pensato?
Punto terzo: questa sortita è o non è una vera dichiarazione d’amore verso il sindacato? L’alleanza tra sindacato (e cioè sinistre) e banche e grandi imprese e grande capitale è così esplicito e scandaloso che il sindacato diviene per i lavoratori una istituzione che serve a legittimare e sostenere la proprietà a danno della classe operaia. Il sindacato per esempio non poteva chiedere nuove assunzioni per erogare un maggiore e migliore servizio alla clientela? Come si arriva a tale collaborazione così sperticata? Corruzione? Non vogliamo crederci! Per evitare di essere strumentalizzati in questo modo quale doveva essere la posizione del sindacato? Qualcuno dovrebbe rispondere.
E le Associazioni dei consumatori dove sono? O anch’esse sono simpatizzanti del grande capitale?
Potremmo continuare ancora in questa disamina sconfortante ma per il momento ci fermiamo qui. Questo modo di gestire una grande banca non è unico ma è molto diffuso nel mondo ed è un esempio di omissioni di cui la politica è colpevole.
Cioè stiamo in mezzo al guado e privi di guida.
Canio Trione