Vertice Fondazione Caponnetto: analizzati gli effetti della riforma Cartabia sui crimini a danno di animali

Si è tenuto sabato scorso a Firenze il Vertice del Ventennale della Fondazione Antonino Caponnetto, al quale hanno partecipato, tra gli altri, Giuseppe Antoci, Beppe Lumia, Salvatore Calleri, magistrati e investigatori. Nel corso del mio intervento, in qualità di criminologo responsabile Osservatorio Nazionale Zoomafia della LAV, ho analizzato alcuni effetti nefasti della cosiddetta “riforma Cartabia” sulla tutela penale degli animali.

La riforma Cartabia, infatti, modificando la procedibilità d’ufficio a querela di parte per alcuni reati, tra cui il furto anche per alcune ipotesi in cui ricorrono le circostanze aggravanti, ha dato un duro colpo all’accertamento dei delitti di furto venatorio e di abigeato.

Per quanto riguarda il furto venatorio, com’è noto la “fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale” (art. 1 L. 157/92).  Ogni forma di appropriazione di fauna selvatica, fatto da persona non munita di licenza – quindi fuori dalla liceità posta dalla concessione governativa, – integra condotta idonea a concretizzare il reato di furto aggravato ai danni dello Stato poiché la fauna selvatica è un bene “esposto a pubblica fede”.

Bene precisare che tale reato non è previsto per il regolare cacciatore che viola la normativa sulla caccia non rispettando i limiti di tempo, luogo o specie, ma solo per chi non è munito di relativa licenza (rectus: bracconiere).

Il furto venatorio è l’unico delitto attualmente applicabile per contrastare l’offesa del bracconaggio, essendo tutte le sanzioni previste dalla normativa mere contravvenzioni. Con la riforma in parola, venendo a cadere la procedibilità d’ufficio, l’applicazione di tale delitto è minata alla base, poiché la parte offesa è lo Stato e la riforma non prevede tra i casi per i quali si continua ad applicare la procedura d’ufficio anche quello in cui la parte offesa sia lo Stato. Un vero paradosso!

Ci si chiede: a chi spetta presentare querela? Come può essere un bene pubblico, come la fauna selvatica, tutelata nell’interesse nazionale ed internazionale, considerato alla stregua di una bicicletta lasciata incustodita per strada?

Situazione simile per l’abigeato, ovvero il furto di “bestiame”, previsto come circostanza aggravante del furto. La novella in parola ha reso perseguibile a querela di parte anche questa particolare circostanza aggravante creando di fatto una sorta di depenalizzazione occulta.

Secondo diverse stime, sarebbero oltre 150mila gli animali da allevamento che spariscono nel nulla ogni anno a causa dell’abigeato. Molti di questi animali finiscono inevitabilmente nel circuito delle macellazioni clandestine. Il comparto zootecnico e agro-silvo-pastorale è soggetto massivamente all’assalto di consorterie malavitose, come riportano le relazioni annuali della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo. Ve lo immaginate un allevatore taglieggiato e minacciato che presenta querela?

Vi sono altre considerazioni da fare: il furto di animali non può essere considerato una questione privata, che viola i diritti di un singolo, anche alla luce della recente modifica dell’articolo 9 della Costituzione. Depotenziare il sistema sanzionatorio e repressivo dei crimini contro gli animali, con la riduzione a mero reato perseguibile a querela di parte del furto venatorio e dell’abigeato rappresenta un provvedimento boomerang con conseguenze negative per l’intera società.

Ciro Troiano