La questione politica sul Mes
Cos’è il MES e come funziona? Perché l’Italia non vuole ratificare la riforma del MES?
Il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è al centro del dibattito politico in Italia in vista della prossima riunione dell’Eurogruppo. Giorgia Meloni ha espresso la necessità di aggiornarlo al nuovo contesto geopolitico e trasformarlo in un veicolo per la crescita, abbandonando la logica dell’austerità del passato. Per cui, l’Italia è l’unico dei 20 aderenti a non aver ancora ratificato l’accordo. A chi si chiede cos’è il MES si potrebbe dunque rispondere definendolo un meccanismo volto a mantenere la stabilità finanziaria della zona euro. Il MES è un fondo di assistenza finanziaria che ha l’obiettivo di aiutare i Paesi membri dell’Unione Europea che si trovano in difficoltà finanziarie e non sono in grado di finanziarsi attraverso il collocamento normale di titoli di Stato. In cambio del prestito, il Paese beneficiario deve accettare una serie di condizioni, tra cui un programma di rientro e di controllo del debito con piani di aggiustamento macroeconomico, che comprendono riforme draconiane che vanno dalle pensioni alla spesa pubblica. Una volta capito, almeno in linea di massima, cos’è il MES occorre comprendere al meglio come funziona. Le modalità d’azione del fondo possiamo suddividerle in tre fasi. Lo Stato in difficoltà avanza una richiesta di assistenza.
Il MES chiede alla Commissione UE di valutare lo stato di salute del Paese in questione e di definire il suo fabbisogno finanziario. Dopo la valutazione il MES decide di agire e aiutare il Paese in difficoltà attraverso prestiti. Le nuove condizioni per accedere al fondo salva-Stati previste dalla riforma sono state sin da subito giudicate aspre, tanto da rendere molto più difficile l’accesso al programma di aiuti. In particolare bisogna: non essere in procedura d’infrazione; vantare un deficit/Pil inferiore al 3% da almeno due anni; avere un rapporto debito/PIL sotto il 60% (o, almeno, aver sperimentato una riduzione di quest’ultimo di almeno 1/20 negli ultimi due anni. Una delle riforme più importanti decise dall’Eurogruppo riguarda il backstop per il settore bancario. Si tratta di una garanzia per il Fondo di risoluzione bancaria (SRB), fornita dal Mes sotto forma di una linea di credito, che garantisce un sostegno alle banche sull’orlo del fallimento. La riforma prevede che il Mes funga da mediatore tra Stati e investitori privati nella ristrutturazione del debito pubblico.
Proviamo ora a fare una disamina delle riserve espresse sul fondo salva-Stati. Uno dei punti più dibattuti ha sempre riguardato il rinnovato potere della Banca Centrale Europea e, di conseguenza, le limitazioni imposte al settore bancario e ai governi nazionali. Altro aspetto critico riguarda la somma a garanzia fornita agli Stati in difficoltà. Questa viene suddivisa e composta dalle partecipazioni di ciascun membro non in difficoltà. In poche parole, parte dei soldi concessi alla Grecia, qualche anno addietro, sono stati corrisposti a capitali messi a disposizione in parte dalla Germania, in parte dall’Italia, dalla Francia e così via. Ma, dato che ogni Paese riesce a garantire un proprio status di affidabilità, alla quota versata da ciascuno viene riconosciuto un interesse diverso. Ed è qui il pericolo: se uno degli Stati più «affidabili» dovesse trovarsi in difficoltà e aver bisogno del Meccanismo, la quantità dei fondi che non può più garantire si riverserebbe necessariamente sugli Stati più piccoli. Già questi argomenti sottolineano la necessità di rivedere la metodica, Il Mes deve essere un’opportunità di crescita. Così com’è oggi la sovranità degli Stati è fortemente limitata dalle gabbie invisibili su cui si regge la governance internazionale. I condizionamenti istituzionali influiscono sugli altri condizionamenti (politici, economici, sociologici, psicologici, mediatici), che limitano di fatto la nostra libertà decisionale. Si tratta quindi di un sofisticato metodo di gestione collegato alla globalizzazione. A questo bisogna aggiungere, l’enorme influenza della Banca centrale europea, che privando i singoli Paesi della possibilità di battere moneta, depotenzia la loro capacità di gestire liberamente le politiche economiche e finanziarie.
Sappiamo come è andata con la Grecia, messa letteralmente in ginocchio una decina di anni fa con misure restrittive di una durezza senza precedenti, non nell’interesse del popolo greco, per il quale un default sarebbe stato preferibile, ma per salvaguardare le banche tedesche e francesi, che erano piene di Titoli di Stato greci. Di fatto il Mes, se attivato, è un prestito che va onorato. E sebbene le condizioni iniziali possono essere irrisorie, in realtà il trattato dà la possibilità di modifiche successive qualora se ne presenti la necessità. Ricordiamoci quel che scrisse il commissario Dombrovskis a Gentiloni: “Uno Stato membro che beneficia dell’assistenza finanziaria precauzionale del meccanismo europeo di stabilità è soggetto a una sorveglianza rafforzata da parte della Commissione quando viene concessa la linea di credito”. Dunque, la Commissione europea può commissariare di fatto l’Italia ed imporre misure austere. La sensazione è quella che l’establishment europeo ne avrebbe una gran voglia nei confronti dell’attuale governo che, sebbene si sia mostrato finora tutt’altro che conflittuale verso la Ue, non è certo considerato amico e rischierebbe di essere depotenziato. Quindi non è una questione economica, bensì tutta politica.
Giuseppe Romito