Se essere genitori fosse uno status sociale?
La difesa di un egualitarismo che è ormai trasceso in una mancanza di identità dei singoli è figlia di un errore di fondo di certa sinistra radicale. L’uomo è per definizione diverso da un altro uomo, se così non fosse, saremmo replicanti e – forse – è proprio questo l’obiettivo di una ideologia ormai tramontata: tutti uguali e non tutti diversi, così da poter controllare tutti con il minimo sforzo. Difendere il diritto alla diversità di genere è la battaglia di questi radical chic, che – però – paradossalmente accettano (e, anzi, auspicano) un mondo di fotocopie. Le battaglie di integrazione sono, in sé, giuste, sempre che l’integrazione non significhi omologazione: sono diverso e, come tale, mi devo omologare e poco conta se la diversità è una scelta o il fato ad averla determinata.
Come intendere altrimenti la pseudo difesa del diritto delle coppie omosessuali di avere figli “clonati”. La fecondazione assistita etero è già una forzatura naturale, quella non etero nulla ha a che vedere con il diritto alla genitorialità: il sentimento che porta al desiderio di essere genitori può essere soddisfatto attraverso l’adozione; questo non per una posizione ideologica di retroguardia, ma per riconoscere la “funzionalità ” del concepimento quale evoluzione della specie ed al netto di implicazioni religiose o filosofiche. Se il marxismo condannava l’industrializzazione quale causa dell’alienazione operaia, non si comprende come la ricerca della soddisfazione del proprio egoismo da parte di chi sceglie una procreazione non naturale, anziché la più nobile (ed altrettanto soddisfacente) adozione, debba essere oggetto di una difesa “di genere” ad ogni costo.
Poi v’è da ragionare sulla complessità del sistema adottivo italiano, certamente da rendere più semplice ed accessibile a tutti, sia coppie (di qualsiasi genere) sia di singoli soggetti, guardando non ai formalismi – nella Legge – ma alla sostanza, nella determinazione dei requisiti per accedere ad un processo genitoriale, per altri versi comunque complicato.
Si vuol dire che l’approccio alla adozione viene svilito dall’enorme processo burocratico a cui si deve sottoporre un cittadino in Italia (differentemente da altri Paesi, soprattutto anglosassoni, dove la strada è molto più semplice), anche passando dall’affido temporaneo.
Requisiti e prerequisiti degli adottandi, quando i tempi di adottabilità sono ristretti, spingono verso il “mercato nero” degli adottabili di altri Paesi, restando il business delle “case famiglia” ad appannaggio di pochi ammanigliati alle amministrazioni territoriali e giudiziali. Perché sottrarre un bambino alla madre per questioni economiche, versando alle strutture private diverse decine di euro al giorno per ogni bambino, quando con un terzo della stessa somma la famiglia potrebbe fornirgli sia il cibo, che l’assistenza e – soprattutto – l’affetto?
Anche il distacco dal nucleo originario familiare segue regole contorte, in cui la discrezionalità degli operatori dei servizi sociali è troppo ampia e mal controllata, ingenerando abomini di distacco fra fratelli (ad esempio).
Ed allora ecco che è più facile (anche se costosissimo) approdare alla fecondazione assistita, all’utero in affitto ed altre “soluzioni” tecnologiche, che solo in pochissimi possono permettersi (qualcuno ricorda Vendola?).
Mi piacerebbe immaginare un mondo dove fosse il Servizio Sanitario Nazionale che – previa analisi della coppia, verifica della sostenibilità psicologica, verifica delle compatibilità ambientali – fornisse gli strumenti per accedere ad una genitorialità assistita.
Quanto, poi, farebbe figo?
Rocco Suma