Censura, restrizioni o… crimini?

“Per evitare la musica. Cassette e musica sono proibite nei negozi, negli alberghi, sui veicoli, sui risciò.[…] Nel caso venga trovata qualsiasi cassetta di musica in un negozio, il titolare sarà incarcerato e il suo negozio chiuso. Se cinque persone si renderanno garanti, il negozio sarà riaperto e il criminale rilasciato in un secondo tempo. Nel caso si trovi una cassetta su di un veicolo, il veicolo è il conducente saranno imprigionati. Se cinque persone si renderanno garanti il veicolo sarà dissequestrato e il criminale rilasciato in un secondo tempo. Per evitare musica e danza in occasione delle feste nuziali. In caso di violazione il capo famiglia sarà arrestato e punito. Per evitare l’uso del tamburo. Questo divieto sarà annunciato. Se qualcuno svolgerà tale pratica i religiosi anziani decideranno sul da farsi”. (Rashid 2000, pp. 218-9).

Questo è uno dei decreti emanati dal regime talebano in Afghanistan. Mai nessun paese ha subito una censura musicale così drastica.

Un posto in cui l’unica musica da far ascoltare ai bambini sono i “canti senza musica”; canti talebani religiosi senza strumenti musicali. Un posto in cui le donne vivono come in una enorme prigione immaginaria. Prigione in cui suonano di nascosto grazie alle sentinelle che le allertano in caso di pericolo. Un posto in cui i nastri magnetici delle cassette sono sradicati e appesi ai rami come fossero impiccati. (Dalle osservazioni di John Baily – professore della Goldsmiths University- che visse più di due anni in questo territorio).

Clima, contesto e vita, a cui i musicisti, e non solo, dovevano (e devono) sottostare. Processo di censura musicale avviato già durante i decenni precedenti e culminato agli inizi del terzo millennio.

In questo paese il tempo non passa mai.

In un Afghanistan estremamente proibizionista (1997) diventò una moda il ‘taglio alla Titanic’. I barbieri che soddisfarono questo desiderio pagarono gravi conseguenze.

Ai giorni nostri viene emanato un editto per chiudere i saloni delle parrucchiere. Viene colpita la libertà della donna. Ancora una volta. Viene colpita la possibilità della donna di emanciparsi. Di essere autonoma. Di essere una donna. Di vivere.

Secondo Amnesty International e la commissione internazionale dei giuristi “queste continue restrizioni dovrebbero essere indagate come crimini contro l’umanità determinati dalla persecuzione di genere”.

È necessario, è urgente un processo di sensibilizzazione e di conoscenza. Volto a ricordare a tutti i cittadini del mondo che i diritti non sono per sempre. Che bisogna lottare per conquistarli. E lottare per mantenerli.

Perché “Nessuno può essere completamente libero finché tutti non saranno liberi; […] nessuno può essere completamente felice fino a che tutti non saranno felici”.

Lucia Ricchitelli