Sessantamila disperati solo dalla Tunisia
O portiamo lo sviluppo lì o siamo fritti. Spulciando con attenzione tra i comunicati delle agenzie si possono trovare notizie choccanti. Tra di esse certamente annoveriamo quella che ci fa sapere che nelle retroguardie degli imbarchi dalla Tunisia vi sarebbero almeno sessantamila disperati in attesa di venire in Italia. Forse sono un po’ di meno. Forse molti di più, forse altri stanno arrivando, i numeri e le statistiche si sa non servono neanche a incartare le patate, ma il fenomeno c’è ed è grande.
Mentre da giorni siamo al ritmo di centinaia di nuovi ospiti al giorno dei centri di prima accoglienza italiani, altre decine di migliaia si preparano ad affrontare il mare. La polizia tunisina non va molto per il sottile e ne arresta decine al giorno per le ragioni più diverse ma stanno lì e non se ne vanno; prima o poi arriveranno qui da noi. Non sono solo tunisini ma vengono anche da lontano e hanno già affrontato spese, rischi e fatiche inenarrabili; quindi non torneranno indietro.
Il nostro governo tacciato di pericoloso sovranismo non sembra molto convinto di contrastare il fenomeno e anche il ritornello europeista sembra essere più un mandare il can per l’aia che un effettivo modo di affrontare la questione.
Servono nuove braccia per i nostri campi? Si, ma oggi non esiste un datore di lavoro che possa volere un operaio non qualificato, badante compreso. Come si pensa di trasformare dei disperati in lavoratori specie se non conoscono la lingua?
L’evolversi delle tecnologie produce riduzione di posti di lavoro; quindi che vengono a fare?
Si tratta di persone che non conoscono le nostre regole sociali, chi controllerà che il loro comportamento sia conforme alle nostre regole? Le forze dell’ordine e le nostre stesse carceri sono al limite della sopportazione delle varie intemperanze.. come fare a sopportare un ulteriore appesantimento della situazione?
Francia, Stati Uniti e Gran Bretagna che pur sono delle vecchie mete degli esodi da varie parti del mondo devono fronteggiare periodiche rivolte spesso numerose pur dopo decenni di sforzi volti alla integrazione.
Quindi non esiste nessun temperamento possibile alla necessità di evitare che questo esodo avvenga… pure nessuno lo ferma. O, meglio, lo vuole veramente fermare.
Ma il punto che nessuno vuole sollevare è un altro: in che considerazione siamo tenuti noi italiani in Africa per arrivare al punto di lasciare tutto, rischiare la pelle per venire in Italia e in Europa? Che Terra Promessa credono di trovare? Sanno che qui siamo pieni di debiti e si sopravvive a spese dei nostri eredi? La questione è importante perché se questa positiva considerazione nella quale siamo è diffusa potrebbe indurre mezza Africa a venirsene a Lampedusa. Se poi, ancor peggio, questa considerazione è dettata dalla progressiva distruzione delle loro economie e società (come è da attendersi in una concezione mondialista ed efficientista della economia e finanza globale) che si attende a porsi alla guida di una idea rinnovativa del rapporto tra Occidente ed Africa che porti lì lo sviluppo senza doverli far venire qui?
Se riteniamo di poter esportare democrazia e civiltà perché non esportiamo benessere e lavoro? O questo è contro gli interessi dei burattinai del globalismo?
Non è questione di soldi ma di idee: esiste una idea e una volontà che restituisca alle singole identità vitalità e sostenibilità economica e sociale? Se si, forse ci salviamo; se no, siamo fritti.
Canio Trione